di
Alessandro Baschieri
Padovano di Mortise, De Checchi ha un residuo visivo di due decimi e gioca a blind tennis. Le palline hanno dei sonagli all’interno. «Vorrei promuovere questo sport nelle scuole anche per migliorare la sensibilità dei ragazzi nei confronti delle disabilità»
Ludovico De Checchi, 22 anni, padovano di Mortise, scende i primi tre gradini della scalinata. Accoglie l’ospite indicando la porta di casa e rientra con passo sicuro, dire che si muove al buio sarebbe falso. Ha qualche problema alla vista, limitazioni che con un po’ di coraggio, senso dell’orientamento e l’aiuto di chi gli vuole bene diventano più leggere. Ludovico le ha trasformate in una leva per affrontare nuove sfide, come quella di promuovere in Italia il «blind tennis». L’anno scorso ha partecipato ai campionati mondiali e vorrebbe diventare una sorta di ambasciatore dello sport che ama e che gli ha cambiato la vita.
Blind tennis significa tennis cieco ma tu la pallina la vedi o la senti?
«Ho un residuo visivo di due decimi e mezzo per occhio e gioco nella categoria B4, quella per ipovedenti. Nella categoria B1, la più difficile, i giocatori sono totalmente ciechi e per mettere tutti sullo stesso livello sono anche bendati. Io la pallina la vedo ma soprattutto la sento, la chiave sono i sonagli interni che ti aiutano a capire dove va. Il suono è fondamentale per orientarsi, scegliere la direzione e colpirla».
Se dovessimo far capire a chi ti legge come ci si sente in campo?
«Una volta al Plebiscito di Padova hanno fatto delle esibizioni con atleti di blind tennis opposti ad atleti senza limitazioni. Per metterli alla pari hanno usato una maschera di vetro oscurata e graffiata».
Quanti giocatori ci sono?
«in Italia nella mia categoria ci sono solo io, questo è il problema. Nel resto del mondo è molto diffuso: in Australia ci sono giocatori professionisti. I tornei si svolgono per lo più in India, in America e in Polonia e per girare il mondo servirebbe uno sponsor. Io mi accontenterei di giocare qualche torneo in più in Italia, questo è il mio obiettivo».
Non ci sono tornei ma proprio a Cordenons, provincia di Pordenone, hanno organizzato i campionati mondiali di blind tennis…
«Sì e forse ho giocato lì la mia miglior partita anche se ho perso da un coreano 14-12 al terzo set. Mi sono sentito davvero bene in campo».
Com’è nata l’idea di giocare a tennis nonostante le limitazioni alla vista?
«Devo ringraziare un amico, un ragazzo che vede ancora meno di me perché gioca nella categoria B3. È grazie a lui se ho questa passione. Mi alleno anche quattro volte la settimana prima dei tornei e nel resto della stagione gioco a calcio nella squadra di quarta categoria del Padova. Un orgoglio giocare con la maglia ufficiale. Posso fare tutto questo grazie ai miei genitori che ovviamente devono portarmi agli allenamenti».
Qual è il tuo progetto? Come speri di promuovere il blind tennis?
«Io vorrei andare nelle scuole per spiegarlo e presentarlo anche perché in realtà l’obiettivo è doppio, oltre a promuovere lo sport vorrei migliorare la sensibilità dei ragazzi nei confronti delle disabilità. Con me non sempre si sono comportati bene i compagni…».
Vuoi raccontarlo?
«A nove anni ho cominciato a vedere male la lavagna. Pensavano facessi apposta, nessuno aveva davvero capito come stavano le cose: nemmeno la maestra. Un giorno all’ospedale Bellaria di Bologna hanno individuato questa malattia al nervo ottico. Più avanti si è aggiunta anche una ipotonia muscolare, un problema che nasce da una mutazione genetica e a volte provoca tremori».
I compagni non ti hanno aiutato?
«Purtroppo sono stato vittima di episodi di bullismo. Per questo credo sia importante cominciare dalle scuole, fare delle dimostrazioni e sensibilizzare i ragazzi che sono gli uomini di domani».
Chi vorresti coinvolgere in questo progetto?
«Più persone possibili. Io spero che il blind tennis si diffonda, so che faranno delle esibizioni anche ai prossimi Australian Open. A me piace Alcaraz che ha un carattere speciale e anche Sinner, certo. Però quello che mi ha fatto divertire di più è Cobolli: sarebbe bello un giorno scambiare due palle con lui nelle scuole. Non credo si possa arrivare ai livelli di Bebe Vio e Alex Zanardi che per la disabilità hanno fatto tantissimo ma, insomma, quella sarebbe la strada. Spero che qualcuno legga queste righe e ci pensi».
Oggi il blind tennis non è nemmeno uno sport paralimpico.
«Infatti, c’è tanta strada da fare a livello italiano e anche internazionale. I miei genitori mi hanno sempre sostenuto e continuano a farlo: spero di riuscirci».
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23 dicembre 2025
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