di
Caterina Ruggi d’Aragona
Francesco Gabbani parla della sua carriera e del suo ultimo disco: «Viva la vita è stata ispirata dal libro di Tiziano Terzani che alla fine dice: “Risposte non ne ho. Forse è questa l’unica risposta che ho”»
Ripubblichiamo l’intervista a Francesco Gabbani fatta da Caterina Ruggi d’Aragona a marzo, una delle più apprezzate nel 2025 dai lettori.
«Viva la vita così com’è/ Viva la vita questa vita che/ È solo un attimo/ Un lungo attimo». Non solo un motivetto che ti risuona dentro, spingendoti irresistibilmente a sorridere.
Nel ritornello del suo brano Francesco Gabbani sintetizza la sua filosofia: «Vivrò finché respirerò», spiega il cantautore e polistrumentista di Carrara che ha esordito al Festival di Sanremo 2016 al primo posto delle «Nuove Proposte» con il brano Amen (anche «premio della critica» e «miglior testo»), per poi vincere nel 2017 con Occidentali’s Karma.
Come sta vivendo il successo del suo ultimo disco «Dalla tua parte»?
«Mi spiazza, quasi. Io ho una percezione realistica dell’attuale scenario discografico, che passa molto per lo streaming da cui io sono un po’ chiamato fuori rispetto ad artisti più giovani, come ad esempio Olly (che mi piace, e sono felice abbia vinto il Festival di Sanremo). Naturalmente mi fa molto piacere il posizionamento in vetta alla classifica delle vendite di dischi fisici: è un segnale di affetto da parte del mio pubblico, con cui ho un rapporto di fiducia reciproca».
Si ritrova nel ruolo di «portatore di positività»?
«Sicuramente. Ma vorrei sottolineare il fatto che è una scelta: l’interfaccia comunicativa che parte dal sorriso e si riflette nei miei testi non significa che io non abbia lati oscuri di sofferenza o di inquietudine. Ho scelto la positività come modus vivendi».
Cosa la rende felice?
«Tante piccole cose. Sono sempre più orientato verso gli aspetti autentici della vita, a cominciare dal rapporto con la natura. Diciamo che non troverei la felicità in un attico di 300 mq a Milano, o in un’auto di lusso, come invece nelle vibrazioni armoniche degli elementi naturali, o nelle sinergie emozionali che si creano con le persone a cui voglio bene, oppure con il mio pubblico. In particolare i bambini, che durante il giro di firmacopie del disco appena terminato mi hanno travolto di abbracci, mi hanno dato un carico di energia autentica».
«Vade retro grattacielo», ma anche condominio. Ha scelto di vivere in un piccolo borgo toscano, circondato da uliveti.
«Quando capito in grandi città non disdegno la bellezza di opere architettoniche, grattacieli compresi. Però sono nato e cresciuto in un territorio toscano di confine con la Liguria, dove con i piedi in mare vedi la montagna, mentre dalla cima della montagna vedi il mare. Vivo tra gli ulivi e faccio trekking (quando posso) sulle vette delle Alpi Apuane».
A Sanremo come è andata?
«Carlo Conti ha portato il suo modo di fare spettacolo: ha messo la musica al centro di un festival più asciutto, con meno fronzoli. Secondo me gli artisti hanno apprezzato. Provo verso Carlo un senso di gratitudine, perché ha creduto in me fin dagli inizi: nel 2016 e poi nel 2017 mi ha dato la possibilità di esprimermi quando ancora il pubblico non mi conosceva. Non era scontato che mi riprendesse quest’anno, con una canzone dalla cifra molto diversa: ha dimostrato di apprezzare e rispettare la mia evoluzione».
Cresciuto nel negozio di strumenti musicali: il suo destino era segnato?
«Ho lavorato nel negozio dei miei genitori praticamente fino al Sanremo 2016. Se la musica fosse scritta nel mio destino non lo so. Sicuramente, da bambino giocavo con la musica. A 4 anni suonavo per gioco la batteria. Al liceo avevo una band (Trikobalto) con cui suonavo blues e già pensavo di voler fare il cantautore».
Quando la musica è diventata per lei una cosa seria?
«Mi ero appena iscritto al Dams di Firenze quando i Planet Funk produssero il primo disco dei Trikobalto. Era la mia prima chance lavorativa. Lasciai l’università, con grande dispiacere di mia madre che per me aveva immaginato tutto fuorché la strada complicata dell’artista. All’epoca l’ho contrastata, oggi la comprendo. Mio padre, invece, ha sempre cercato di lasciarmi libero, spingendomi però a restare con i piedi per terra. Per questo ho continuato per anni a lavorare in negozio, trasportare pianoforti, montare palchi, fare il fonico…».
L’album «Dalla tua parte», in cui esplora temi esistenziali, segna il passaggio nella maturità?
«È una tappa di un percorso esistenziale, che ultimamente si sta protendendo verso la ricerca interiore. Mi guardo dentro più che attorno, e le mie canzoni sono più riflessive e più introspettive».
L’ironia resta la sua cifra?
«La chiamerei ironia provocatoria, o profonda leggerezza. Mi aiuta a ricordarmi le domande giuste da farmi. Ma risposte non ne ho ancora trovate. Forse non avere risposte è l’unica risposta che ho. Ho trovato senso solo nel sapere di non sapere. Socrate insegna».
C’è questa accettazione del «non senso» in «Viva la vita»?
«Una canzone che può sembrare semplicistica ed è, anche, liberatoria, ha una sua dietrologia: nel passaggio “amo la vita così com’è” ci sono tutte le cose a cui non riesco a dare risposte. Fonte di ispirazione è un pensatore fiorentino: Tiziano Terzani. L’anno scorso ho letto La fine è il mio inizio: ho trovato illuminante il modo in cui un uomo colto, che ha toccato con mano culture variegate, a fine vita abbia distrutto tutte le sovrastrutture per arrivare a dire “Risposte non ne ho. Forse è questa l’unica risposta che ho”».
Cosa la spaventa?
«Quello che non conosco. Per questo, ancora oggi, ho paura del buio».
Porte aperte alla paternità?
«Sì. Sto cercando il senso della mia esistenza. Se la guardo in senso evoluzionistico, c’è anche la procreazione. Non remo contro».
Vai a tutte le notizie di Firenze
Iscriviti alla newsletter del Corriere Fiorentino
23 dicembre 2025 ( modifica il 24 dicembre 2025 | 11:55)
© RIPRODUZIONE RISERVATA