Da quando è stata scoperta, la cometa interstellare 3I/Atlas è stata osservata sia da telescopi terrestri sia da missioni spaziali in quasi tutte le lunghezze d’onda dello spettro elettromagnetico: dalla luce visibile all’ultravioletto, dall’infrarosso alle onde radio e submillimetriche. Le osservazioni più recenti, in ordine di tempo, sono quelle del telescopio spaziale Hubble nel visibile e della missione Europa Clipper nell’ultravioletto. Di recente, ed è la prima volta che accade per un oggetto proveniente da un altro sistema stellare, la cometa è stata immortalata anche in banda X. Ad ottenerne la “radiografia” è stato il telescopio per raggi X molli Xtend, uno dei due strumenti a bordo della missione di imaging e spettroscopia a raggi X Xrism, guidata dalla Jaxa in collaborazione con Esa e Nasa. I risultati delle indagini sono stati pubblicati il ​​3 dicembre tramite il sistema degli Astronomer’s Telegram (ATel #17523).

Immagine a raggi X della cometa 3I/Atlas catturata dal telescopio Xtend, a bordo della missione Xrism della Jaxa. Il campo visivo dello strumento copre un’area attorno alla cometa di circa tre milioni di chilometri di lato, all’interno della quale ha rivelato una struttura di emissione X (indicata dal cerchio bianco tratteggiato) che si estende per circa 4oomila attorno alla cometa. Crediti: Jaxa

Le osservazioni di 3I/Atlas sono state condotte tra il 26 e il 28 novembre, per un totale di 17 ore di espozione, nell’ambito di un programma che gli addetti ai lavori chiamano target of opportunity – termine che indica l’inserimento, per motivi di particolare rilevanza scientifica, di un obiettivo non previsto nel programma osservativo di un telescopio.

L’obiettivo dei ricercatori era stabilire se le comete interstellari emettessero raggi X come fanno le comete del Sistema solare o se mostrassero caratteristiche completamente diverse. Finora, infatti, nessuno di questi oggetti è stato rilevato in questa banda dello spettro. Il risultato delle indagini, mostrato qui in alto, è un’immagine che conferma la capacità di questi oggetti di brillare nell’X.

L’analisi dei dati di Xrism ha rivelato un bagliore diffuso di raggi X (indicato nell’immagine dal cerchio bianco tratteggiato), che si estende per circa 400mila chilometri attorno alla cometa, una dimensione paragonabile alla distanza che separa  la Terra dalla Luna. L’ipotesi dei ricercatori è che si tratti di luce X generata dall’interazione tra il vento solare – il flusso di particelle cariche emesse dal nostro Sole – e i gas rilasciati dalla cometa, come vapore acqueo, anidride carbonica e monossido di carbonio.

Le comete sono avvolte da nubi di gas prodotte dalla luce solare che riscalda e vaporizza le loro superfici ghiacciate. Quando questo gas interagisce con il flusso energetico di particelle cariche provenienti dal Sole – il vento solare, appunto – si verifica un fenomeno chiamato ionizzazione per scambio di carica, che produce emissione di raggi X. A supportare questa interpretazione contribuiscono i dati dello spettrometro a raggi X ad alta risoluzione Resolve, l’altro strumento a bordo della missione, che ha rivelato attorno al nucleo cometario la presenza di carbonio, azoto e ossigeno, elementi costitutivi di questi composti.

L’osservazione in banda X di 3I/Atlas, supportata anche da dati di altre missioni come quelli di Xmm-Newton dell’Esa (acquisiti il 3 dicembre), rappresenta un passo importante nella comprensione delle caratteristiche fisiche e chimiche degli oggetti interstellari. Le sue immagini nei raggi X, insieme a quelle ottenute in altre bande dello spettro elettromagnetico, indicano che, nonostante l’origine in un sistema stellare lontano, l’oggetto si comporta in modo simile alle comete indigene del Sistema solare, seguendo gli stessi processi fisici che gli astronomi osservano da tempo nei corpi ghiacciati del nostro quartiere cosmico.