Nel quadro della corsa statunitense a tecnologie sempre più dinamiche e versatili, l’industria militare a stelle e strisce pensa anche allo spazio e alla possibilità di veri e propri intercettori spaziali capaci di bloccare e eliminare i missili ipersonici avversari quando si trovano nella fase ascendente, dove sono più lenti e sostanzialmente bersagliabili con minore difficoltà da vettori di difesa capaci di operare con la ricerca termica dei bersagli e in grado di costare meno rispetto all’attuale prototipazione.
Come evolve la Space Force Usa
La Space Force Usa, forte di 40 miliardi di dollari di finanziamenti nella proposta di budget per la Difesa avanzata dal presidente Donald Trump per il 2026, ha avviato una proposta di gara per commissionare la ricerca e lo studio di sistemi d’arma di questo tipo.
“Gli intercettori dovrebbero inoltre essere piccoli, facili da produrre su larga scala e in grado di essere lanciati da costellazioni di piattaforme di lancio orbitali che consentirebbero una copertura continua su specifiche regioni terrestri sottostanti”, nota Defense News, sottolineando come questo sistema d’arma si troverebbe, qualora raggiungesse la fase operativa, chiamata a coprire una nicchia di intercettazione critica e a rappresentare la cuspide più alta del Golden Dome, la cupola anti-balistica proposta dal presidente Usa Donald Trump.
Va detto che questa tipologia di intercettazione apparirebbe, in ogni caso, estremamente complessa ma anche che la tendenza di Washington a promuovere il comando dell’intero spettro di intercettazione manifesta un’influenza generalizzata dell’idea che anche la corsa allo spazio debba essere dominata in forze dagli Usa. Lo “scudo spaziale” americano sarebbe tutt’altro che una garanzia d’ultima istanza contro i moderni missili balistici degli avversari, lanciabili a diverse volte la velocità del suono, ma rappresenterebbe un poderoso deterrente alla riuscita di vari attacchi.
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Spazio, ultima frontiera
Ciò si inserisce in un’ambiziosa strategia militare ma anche nella tendenza a voler fare dello spazio una frontiera a comando americano, tanto nelle tecnologie militari quanto, come in un certo senso sta accadendo, per le telecomunicazioni e lo sfruttamento economico. Di recente Trump ha firmato la componente spaziale della sua strategia di sicurezza nazionale. Con un ordine esecutivo del 19 dicembre, Trump ha affidato alla Space Force il compito di preservare la “superiorità spaziale”, intesa come capacità operativa in grado di garantire alle tecnologie di terra di aprirsi al mondo orbitale e, viceversa, di ibridazione tra la proiezione statunitense nello spazio e la leadership globale americana.
Come nota Space News, da un lato “la politica prevede di attrarre almeno 50 miliardi di dollari in investimenti aggiuntivi nei mercati spaziali americani entro il 2028” e, dall’altro, “pone l’accento sulla difesa degli interessi degli Stati Uniti dall’orbita terrestre attraverso lo spazio cislunare, integrando le capacità commerciali nell’architettura di difesa e modernizzando l’architettura spaziale militare della nazione”.
L’architettura spaziale Usa
La punta più alta del Golden Dome è componente di questa architettura cislunare in cui Washington mira, al contempo, a poter far muovere liberamente i suoi satelliti e i suoi velivoli di trasporto, anche per operazioni di rifornimento militare e a conseguire quella supremazia spaziale che per la Space Force è intesa come la acquisizione di “un livello operativo che consente alle forze militari di tutti i settori di operare nel momento e nel luogo da loro scelti senza interferenze proibitive da parte dello spazio o di minacce controspaziali, negando al contempo la stessa possibilità a un avversario”.
Per Breaking Defense il fatto che Trump chieda di conseguire tale supremazia con una nuova architettura di sicurezza interrogherà la Space Force stessa se in futuro il suo approccio possa portarla a cambiare “l’attuale architettura, che si è gradualmente spostata da piccole costellazioni di grandi satelliti nella fascia orbitale geosincrona terrestre a circa 36.000 chilometri sopra la superficie a grandi costellazioni di piccoli satelliti in orbite diverse”. Washington si fa pioniera di un’ibridazione tra nuovi trend spaziali e sicurezza nazionale ancora in evoluzione e che bisogna vedere dove porterà le potenze del pianeta, certificando però una certezza: le orbite, e in prospettiva anche la Luna e Marte, sono un campo di battaglia ineludibile dove la spinta alla competizione ha pienamente soppiantato quella alla cooperazione.
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