di
Carlo Cottarelli

Si è parlato di «austerità», ma non ci sono le strette viste in passato. La legge di bilancio non include riforme in grado di cambiare la capacità di crescita dell’economia italiana: nessuna rivoluzione

Habemus legem de rationibus publicis! (spero la traduzione in latino vada bene; mi sembrava necessario un inizio un po’ enfatico dato il travagliato percorso della legge durante le ultime due settimane). La legge di bilancio per il 2026 è stata approvata dal Senato e alla Camera spetta solo un voto senza sorprese, il che ci dice, ancora una volta che abbiamo un monocameralismo di fatto e sarebbe ora di formalizzarlo (ma questa è un’altra storia). Che dire di questa legge?

Molti hanno parlato di «austerità». A me non sembra. Guardiamo al deficit pubblico: è la differenza tra le spese e le entrate e quindi sono i soldi netti che lo stato mette nell’economia, una buona (prima) approssimazione di quanto il settore pubblico sostenga imprese e famiglie. L’austerità non c’è né in termini di livello del deficit né della sua variazione rispetto al 2026. Il deficit si riduce dal 3,0% del Pil di quest’ anno al 2,8%, una variazione modesta. Niente a che fare con le strette operate in passato, quando si prendevano misure restrittive di un paio di punti percentuali di Pil. Quanto al livello, al 2,8% il deficit è ancora ben più alto di quello medio del quinquennio pre-Covid (2,2%). Paradossalmente, in quel quinquennio il deficit più basso (1,6% del Pil) si registrò nel 2019, quando al governo ci stavano insieme (incredibile a dirsi) Lega e 5Stelle, i due partiti che (con le ovvie eccezioni per la Lega) più vocalmente hanno criticato la cosiddetta austerità della legge di bilancio. Fra l’altro, una volta usciti in primavera dalla procedura di deficit eccessivo, chiederemo l’attivazione della clausola di salvaguardia per aumentare la spesa militare per un altro 0,15% del Pil, finanziato in deficit. Dove sta l’austerità?



















































La legge è però in linea con i vincoli europei, che, dopo la riforma del 2024, sono molto meno stringenti del passato. Giorgetti, e Meloni ovviamente, visto che alla fine è il Presidente del Consiglio e decidere, vanno complimentati per aver saputo resistere alle pressioni di chi avrebbe voluto un deficit più alto. La legge è stata ben accolta dai mercati finanziari, il che ci fa risparmiare miliardi di interessi sul debito. Cosa molto importante perché il debito resta alto e scenderà solo lentamente nei prossimi anni anche per l’effetto ritardato dei superbonus edilizi concessi troppo generosamente in passato.

Sempre in tema di saldi di bilancio, si è detto che il deficit è stato contenuto lasciare più spazio a manovre elettorali nella prossima legge di bilancio. Non credo sia possibile, a meno di violare le regole europee, cosa che Giorgetti non sembra, giustamente, intenzionato a fare. Tali regole fissano tetti di spesa (al netto di possibili aumenti delle tasse). Essere in linea con il tetto quest’anno, non significa creare spazio rispetto al tetto previsto nel prossimo anno.

Ma non contano solo i saldi di bilancio. Quella che una volta si chiamava la finanziaria fornisce anche un’occasione per rivedere la composizione di entrate e spese e per aumentare o ridurre il loro totale. Da questo punto di vista la nuova legge di bilancio non fa molto. Il totale delle misure espansive (tagli di tasse o aumenti di spesa) è modesto. Anche con l’aggiunta dei 3,5 miliardi di sostegni, soprattutto, alle imprese, introdotti durante la discussione al Senato, i 22 miliardi complessivi sono, rispetto al Pil, la più piccola manovra dal 2014. Tra le misure prese ce ne sono diverse che vanno nella direzione giusta: tagli all’Irpef (per una volta focalizzati sui redditi medi), aumento della spesa sanitaria (che risale al 6,5% del Pil, ossia a un livello leggermente più alto di quello cui lo aveva lasciato l’ultimo governo di centro-sinistra pre-Covid), un miglioramento nel disegno dei sussidi agli investimenti, qualche misura per la natalità. Ma si tratta di importi piccoli, non certo in grado di cambiare in modo fondamentale le prospettive dell’economia italiana. Per avere interventi più ampi sarebbe stata necessaria una profonda revisione della spesa, per ricavare 20-30 miliardi aggiuntivi eliminando spese non essenziali. Il governo non è stato in grado di farlo, ma in questo non differisce dai governi precedenti. La spesa pubblica resta ampiamento sopra al 50% del Pil.

Sul lato delle coperture delle misure espansive, la legge di bilancio si limita ad aumenti di tasse di vario genere, dominati da quelle sul settore finanziario, più qualche taglio lineare di spesa e posticipi di investimenti. La pressione fiscale resta su livelli quasi record negli ultimi vent’anni. Il fatto che siano banche e assicurazioni a essere colpite in prima battuta non significa molto. Sempre di tasse si tratta e non si sa su chi queste tasse ricadranno alla fine. Lo stato può decidere il livello di tassazione, ma come poi le imposte si distribuiscono effettivamente dipende da quanto i soggetti inizialmente colpiti saranno in grado di riversare su altri gli aumenti di tasse

Mi fermerei qui, ma non posso non citare due ultime cose nella legge di bilancio che non mi piacciono. La prima riguarda l’oro al popolo italiano. Una mossa che non serve a nulla. Si è detto che era necessaria per evitare il rischio che lo straniero, che è presente nel capitale delle banche italiane che, a loro volta, partecipano al capitale della Banca d’Italia, potesse un giorno mettere le mani sulle nostre riserve auree. Impossibile visto che, per statuto (approvato per decreto del Presidente della Repubblica), i poteri effettivi dei partecipanti al capitale della Banca d’Italia sono limitatissimi e certo non includono le decisioni sulle riserve. Ma si vede che a qualcuno basta poco o niente per poter cantare vittoria. La seconda misura che non mi piace riguarda la quinta rottamazione delle cartelle esattoriali. Negli ultimi dieci anni abbiamo avuto cinque rottamazioni, quattro operazioni di saldo e stralcio, un generosissimo condono. Mi chiedo perché di fronte a tutto questo, e al di là dei lavoratori dipendenti per cui c’è la ritenuta alla fonte, ci siano ancora contribuenti che pagano ancora senza ritardi tutto il dovuto

Tutto sommato si tratta di una legge di bilancio che tiene in ordine i conti pubblici, non fa disastri e contiene alcune buone, seppure piccole, misure. Non include riforme in grado di cambiare la capacità di crescita dell’economia italiana: nessuna rivoluzione, ma sarebbe stato difficile farlo a questo punto della legislatura, senza aver avuto un mandato popolare (chessò, per un ridimensionamento dei livelli di spesa e di tassazione) e avendo investito capitale politico in altre iniziative (premierato, riforma della giustizia).

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25 dicembre 2025