di
Mario Platero
Le classi medie e basse non partecipano ai buoni dati macroeconomici del terzo trimestre. E la fiducia rimane negativa
NEW YORK – L’economia americana cresce a ritmi invidiabili ( 4,3% nel terzo trimestre), la borsa è ai suoi massimi (l’indice Dow Jones guarda a quota 50.000), le promesse della rivoluzione AI sono appena agli inizi. Tutto bene per Trump e gli Stati Uniti d’America? Non proprio: sulle tavole natalizie apparecchiate nella grande America, dalla costa orientale, passando per il profondo sud e le grandi spianate del Midwest fino alla costa occidentale, continua a dominare la sperequazione tra una classe privilegiata sempre più benestante e appunto una Grande America che continua stringere la cinghia.
Questo non lo dicono solo i dati economici che abbiamo visto nei giorni scorsi, lo dicono i sondaggi e, soprattutto ce lo ha detto Donald Trump nel suo discorso alla Nazione della settimana scorsa: si è arrabbiato con i suoi concittadini ingrati (il suo indice di gradimento è tra i più bassi degli ultimi 50 anni): «I prezzi scendono, i salari salgono, l’AI investe caspita se facciamo progressi. Nessuno può credere quel che sta capitando». Infatti, nessuno.
Soprattutto chi non riesce ad arrivare alla fine del mese. La sua sembrava una imitazione di Joe Biden, anche lui incredulo per l’ingratitudine degli americani a fronte di un’economia che cresceva. La differenza: Biden citava numeri con tono positivo, Trump ha citato numeri con tono di rimprovero acuto per i suoi concittadini. Ma per ora il re resta nudo, anche perché su questo tema economico si giocheranno le elezioni del midterm prossimo novembre. Elezioni chiave per la Casa Bianca, decisa a mantenere il controllo del Parlamento.
La domanda di fondo dunque, guardando in avanti, non è tanto sull’ottimo dato complessivo di martedì per il terzo trimestre, ma su cosa ci aspetta nel 2026. Soprattutto occorre capire se alcune componenti ormai strutturali alla radice della sensazione di malessere economico dell’americano a reddito medio-medio basso, e cioé la stragrande maggioranza, potranno cambiare in vista del Natale 2026. A giudicare dai dati disponibili oggi la risposta è no.
Ma vediamo cosa si nasconde dietro i dati più recenti.
È vero che nel terzo trimestre la domanda al consumo ha tenuto bene, ha contribuito per il 2,5% di quel 4,3% di crescita, ma un terzo di quel 2,3% deriva da un aumento delle spese sanitarie e da spese per viaggi. Per i viaggi in particolare, come per il resto di molte voci al consumo, il contributo viene soprattutto dai consumatori più ricchi e nel settore lusso. La classe media è generalmente rimasta a casa. Un dato talmente anomalo nella sua composizione quello del terzo trimestre che il Wall Street Journal si è sentito in dovere di chiedersi: «Siamo forse in un boom da Ozempic?».
A questo dobbiamo aggiungere che l’inflazione continua a lasciare un segno e che altri dati sul fronte del debito, ad esempio, crescono. Cominciamo dall’inflazione. L’indice «core» dei prezzi al consumo (il più attendibile in quanto esclude i prezzi energetici e alimentari, più volatili) è aumentato del 2,9% nel terzo trimestre a fronte di un aumento del reddito disponibile del 2,8%, la differenza è minima, 0,1%, ma pur sempre negativa per il lavoratore americano.
A questo occorre aggiungere che il tasso di risparmio è caduto del 4,2%. Come mai? Vediamo alcune voci macro sul debito. Quello delle famiglie, nel terzo trimestre è aumentato di 197 miliardi di dollari a quota 19 trilioni di dollari, i mutui sono aumentati per 137 miliardi di dollari a quota 13 trilioni dollari. Cifre colossali. Ci sono difficoltà per i prestiti subprime per l’acquisto auto ( c’è già stata una piccola crisi finanziaria mesi fa), per il debito su carte di credito siamo a +24 miliardi di dollari a quota 1.230 miliardi di dollari, per i mutui immobiliari a +137 miliardi di dollari a quota 13.000 miliardi. I debiti per pagarsi gli studi hanno raggiunto il tetto di 1,65 trilioni di dollari con uno stock di quasi 43 milioni di studenti indebitati, parliamo di ragazzi che si affacciano sul mondo del lavoro e che per anni e anni dovranno rimborsare un debito per aver studiato prima di risparmiare o godersi la vita. È un dato in diminuzione? No nel terzo trimestre l’indebitamento netto per finanziare gli studi è in aumento di 15 miliardi di dollari. Questo quadro, debito in aumento, tasso di risparmio in diminuzione, ha una connotazione strutturale.
Vediamo invece il percorso di una voce nuovissima che ha sostenuto la crescita in questo 2025, gli investimenti in AI. Per il terzo trimestre hanno addirittura contribuito per il 14% della crescita complessiva, ma sono in leggera diminuzione rispetto al secondo trimestre. E certo rappresentano una fiammata essenziale per la crescita, positiva sul piano strutturale, ma non necessariamente rassicurante su quello congiunturale: quanto potranno durare questi ritmi? Di quanto debito stiamo parlando per finanziarli? Sul fronte del debito stanno cominciando ad emergere preoccupazioni per rapporti costruiti su valori stellari di titoli in borsa che scontano aumenti di entrate che ancora non si sono verificate. E cosa succederà se la borsa, trainata solo da AI dovesse decidere di prendersi una pausa nella fiducia illimitata concessa al settore? Certo gli investimenti saranno distribuiti nel tempo. E se oggi si costruisce, domani si creerà nuova occupazione, ma si tratterà di un ritmo sostenibile nel 2026?
Veniamo infine al settore manifatturiero, quello che Donald Trump aveva promesso di rilanciare grazie alla forsennata politica tariffaria. È vero che le tariffe non hanno portato la recessione che molti economisti temevano, ma soltanto perché Trump dal 25%-50% minacciato è generalmente sceso a un più modesto ( e sostenibile) 15%. Il problema è che a fronte dei contraccolpi politici ed economici che si sono portati dietro, questi aumenti non hanno favorito la promessa crescita del settore manifatturiero che resta debole e che in questo trimestre ( ma è di nuovo un dato strutturale) ha contato per il 10% del tasso di crescita (quasi il 50% in meno rispetto al contributo dell’AI).
Questo quadro d’insieme aiuta a spiegare come mai nell’era Trump gli americani sul piano economico restano scontenti a fronte di una crescita per noi invidiabile del 4,3%. Cosa che ci porta all’indice di fiducia nell’economia, un punto di riferimento complessivo che non si può ignorare e traduce i dati in sentimento positivo o negativo. Per dicembre l’indice di fiducia nell’economia misurato da Gallup, resta in territorio negativo, a quota -14, ma a novembre era a -30 e in ottobre a -23. Per dare un’idea di questa misura occorre metterla in contesto, viene calcolata su una oscillazione tra +100 e -100. Il massimo storico dal 1992 è stato +56, nel gennaio 2000, il minimo è -72, registrato nell’ottobre 2008 in piena crisi sub prime. Negli ultimi cinque anni il minimo è stato di -58 nel giugno 2022 in uscita dal Covid e il massimo a +41 nel febbraio del 2020, subito prima del Covid.
È dunque in questi equilibri che si riassume la sfida strutturale con cui si sta confrontando l’America. E tornando alla domanda iniziale che si pone anche Trump: possibile che ci sia una forte inversione di tendenza da qui al prossimo novembre negli umori degli americani? Tutto è possibile, ma alla luce di quel che sappiamo oggi è poco probabile. Cosa che dà forza all’ipotesi sempre piu diffusa: Trump perderà l’esile maggioranza alla Camera alle prossime elezioni di novembre per il midterm. E la cartina di tornasole l’abbiamo in un ultimo dato contenuto nel Pil del terzo trimestre: la crescita salariale delle famiglie a basso reddito è scesa del’1%, mentre quella delle famiglie a reddito più elevato è salita del 3,7% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. A cavallo di questo Natale 2025, più freddo del normale, forse per il forte vento che spira da nord, invece di stringersi, il delta fra ricchi e poveri continua a crescere. Unica consolazione per l’Italia: sul tavolo di ricchi e poveri aumenta la passione per il panettone e sugli scaffali ce ne sono per tutti i prezzi. La gola per le cose buone per ora vince sulle tariffe.
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25 dicembre 2025
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