Organizzata in collaborazione con il Kunstmuseum dell’Aia, il Museo delle Culture di Milano ospita una mostra dedicata a Escher che va ben oltre il pur corretto titolo “Tra arte e scienza“. In un’epoca dominata da comunicazioni incontrollate, spesso contraddittorie e frammentarie, le opere di Escher risultano straordinariamente attuali. Esse ci costringono a interrogarci sul concetto stesso di realtà, spingendoci – non sempre senza fatica – a distinguere tra vero e falso, reale e virtuale, utopia e realismo. Non è un caso che tali temi siano oggi al centro di numerosi convegni dedicati ai giovani, nei quali psicologi e sociologi cercano di interpretare i paradossi di comportamenti estremi e talvolta drammatici.

Tutti conoscono il celebre paradosso — o, più precisamente, l’antinomia — del mentitore, attribuito a Epimenide, che potremmo oggi riformulare così: «Io sono un uomo e tutti gli uomini dicono bugie». Questo paradosso rappresenta una delle forme più radicali di relativismo, capace di trascinarci in un vortice di dubbio senza uscita, un fenomeno che ritroviamo nei dibattiti contemporanei su vaccini, fake news e complottismo.
Personalmente, sono sempre rimasto affascinato dalle opere di Escher e sono stato profondamente colpito sia dalla straordinaria mostra curata da Marco Bussagli a Palazzo Reale di Milano nel 2016, sia dal celebre libro di Douglas Hofstadter, Gödel, Escher, Bach: un’eterna ghirlanda brillante. Hofstadter, docente di scienze cognitive e intelligenza artificiale al Mit, esplora nel suo libro il misterioso emergere dell’ordine in biologia, a partire dal Dna, evidenziando sorprendenti analogie con gli spazi paradossali di Escher, le strutture musicali speculari di Bach e persino i teoremi matematici di Kurt Gödel.

Le opere di Escher si muovono così tra paradossi, antinomie e ossimori, rispecchiando in qualche modo anche il teorema di incompletezza di Gödel, che traduce in termini matematici l’antinomia del mentitore: «Questo enunciato è falso». A suo modo, anche Escher – come Gödel – ci ricorda che la dimostrabilità è una nozione più debole della verità e che esistono verità non dimostrabili, ma non per questo meno vere.
Le sue opere affrontano, in effetti, una delle questioni fondamentali dell’esistenza umana: il senso stesso del vivere. Come scrive McCarthy ne Il passeggero: «Se non siamo alla ricerca dell’essenza, allora che cosa cerchiamo?». Se abbiamo il coraggio di cercarla, scopriamo che ogni realtà rimanda inevitabilmente al mistero che la fa essere e che, in
ultima analisi, la domanda più radicale potrebbe essere quella di Pilato a Cristo: Quid est veritas?

L’assurdo e l’impossibile

Come ha scritto Marco Bussagli, molti vedono in Escher soltanto un abile e bizzarro creatore di illusioni ottiche, mentre la sua arte esprime una profonda tensione conoscitiva. Lo testimonia una frase che Escher amava citare, pronunciata da Miguel de Unamuno nella Vita di Don Chisciotte: «Soltanto chi tenta l’assurdo è in grado di conquistare l’impossibile».

Del resto, parole come infinito e mistero sono difficili da afferrare e spesso sfuggono alla pura analisi razionale; eppure il cuore umano le percepisce come necessarie, tanto da far scrivere a Pascal: «Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce». Se la razionalità è la trasparenza critica della realtà, anche il senso del mistero — sebbene spesso abusato da esoterismi e banalizzazioni — ne fa parte ed è percepibile dalla ragione stessa.

Natale, iniziativa di Dio

È significativo ciò che Escher scrive a proposito dei cristalli: «Nei principi fondamentali dei cristalli c’è qualcosa che toglie il fiato. Non sono creazioni della mente umana […] essi “sono”, esistono. In un attimo di lucidità, l’uomo può al più scoprire che esistono e rendersene conto». Come osserva ancora Bussagli, nei cristalli – concrezioni delle leggi geometriche e matematiche – Escher vede il riflesso dell’insondabilità del mistero della vita, dell’uomo e del cosmo. In un altro passo, l’artista è ancora più esplicito: «La bellezza e l’ordine dei corpi regolari sono irresistibili […] se tu insisti a parlare di Dio, hanno qualcosa di divino, per lo meno nulla di umano».

È difficile non ricordare, a questo punto, ciò che don Luigi Giussani ha avuto il coraggio e la lucidità di indicare con la parola Mistero (con la “M” maiuscola) come nome stesso di Dio. Per Giussani, la vita è rapporto con ciò che “fa essere la realtà”, dunque con il Mistero, cioè con Dio. Scrive infatti: «La parola più giusta è la parola Mistero, perché Mistero indica Dio, Destino, e implica l’inconoscibilità di Dio, a meno che Egli stesso non prenda l’iniziativa, comprendendo la pochezza che siamo».
Per questo il Santo Natale che si avvicina è memoria di questa iniziativa che Dio ha preso verso ciascuno di noi, affinché attraverso Cristo e la sua Chiesa possiamo conoscere il Mistero.