di
Marco Bonarrigo

Il biatleta norvegese è stato trovato morto lunedì in Trentino: portava una maschera che simula l’altitudine riducendo l’ossigeno, ma alza anche il battito cardiaco (e lui aveva sofferto di pericardite). Dal 2023 non è più considerata doping

La morte improvvisa di un atleta di altissimo livello, in teoria super controllato a livello medico, è un evento drammatico e relativamente raro: ci sono patologie cardiache che nemmeno esami sofisticati possono rilevare, ci sono nazioni in cui i controlli sanitari non sono così accurati come ad esempio in Italia.

A rendere praticamente unica la tragica scomparsa del biatleta norvegese Sivert Bakken, deceduto il 22 dicembre mentre si trovava in ritiro all’Albergo Dolomiti del Passo di Lavazè, in Trentino, c’è però una circostanza senza precedenti: il 27enne è stato ritrovato morto con indosso una maschera da ossigeno che simula l’altitudine (Elevation Training Mask, Etm) un dispositivo destinato agli sportivi sempre più diffuso che permette di ridurre fino a 6-10 volte il passaggio di ossigeno alla bocca per — secondo le indicazioni di chi le produce e le commercializza anche sul web — «migliorare le capacità respiratorie, aumentare la capacità polmonare e la resistenza in ipossia», una sorta di «soffocamento» regolabile.



















































Da notare che Bakken e altri colleghi norvegesi trascorrevano lunghi periodi di allenamento a Lavazè, a una quota di 1.800 metri sul livello del mare e quindi dove c’è già una ridotta presenza di ossigeno rispetto al livello del mare.

Sull’efficacia dello strumento, diffusissimo, i ricercatori hanno molti dubbi. Di certo «l’uso della mascherina durante l’esercizio fisico aumenta notevolmente il disagio, moderatamente la dispnea e lo sforzo percepito» (Biomechanics Laboratory, Federal University of Santa Maria, Brasile) mentre «indossare mascherine durante l’esercizio fisico ha un effetto modesto sui parametri fisiologici e psicologici, tra cui lo scambio di gas, la funzionalità polmonare e il disagio soggettivo negli individui sani — chiariscono al Department of Sports Science and Physical Education dell’University of Hong Kong — e l’effetto complessivo sulle prestazioni fisiche pare minimo». Di contro la maschera «innalza il livello del battito cardiaco nella fase di recupero» come spiegano i ricercatori del Resistance Exercise, Physiology and Sport Laboratory di Collegeville negli Usa.

Insomma, uno strumento controverso e non privo di rischi. Sulla morte di Bakken, che recentemente aveva abbandonato l’attività per alcuni mesi in seguito a una pericardite, la Federazione norvegese di biathlon ha reso noto di «non essere attualmente a conoscenza delle circostanze relative all’acquisizione e all’utilizzo di questa maschera». Bakken verrà sottoposto ad autopsia in Italia nei prossimi giorni.

Emilie Nordskar, segretaria generale della federazione, afferma nel comunicato che si tratta di «una situazione tragica con molti interrogativi irrisolti». Resta il fatto che le autorità sportive norvegesi sono da sempre accanite sostenitrici dell’«altitudine simulata» e invitano gli atleti di fondo a soggiornare a lungo in centri di preparazione ipossici durante i campus di allenamento.

Impossibile al momento fare collegamenti tra la morte dell’atleta scandinavo, le patologie di cui aveva sofferto e l’uso della maschera, ma la tragedia deve indurre alla riflessione considerata la diffusione dello strumento tra gli amatori com’è facilissimo verificare su qualunque sito di commercio online. Da due anni, adeguandosi alla normativa Wada, anche la normativa penale italiana non considera più doping l’uso di strumenti ipossici.

25 dicembre 2025