Il Pontefice ha presieduto, nella basilica di San Pietro, la messa del giorno di Natale: l’ultima volta era accaduto nel 1994, Leone ha quindi ripreso una tradizione che era viva fino ai tempi di Papa Wojtyla. Al termine della messa, a sorpresa ha fatto un giro della piazza sulla Papamobile per salutare i fedeli. Poi si è affacciato dalla Loggia Centrale per impartire la Benedizione Urbi et Orbi: “Possiamo e dobbiamo fare ognuno la propria parte per respingere l’odio e praticare la pace”
Papa Leone XIV ha presieduto, nella basilica di San Pietro, la celebrazione del giorno di Natale. Questa messa non veniva celebrata da un Pontefice dai tempi di Giovanni Paolo II: Leone ha quindi ripreso una tradizione che era viva fino ai tempi di Papa Wojtyla. Durante l’omelia, il Pontefice ha lanciato un nuovo appello per la pace, ricordando le sofferenze di chi vive nelle “tende di Gaza” e di “tanti altri profughi e rifugiati in ogni continente”. Al termine della messa, a sorpresa, Leone è sceso in piazza a bordo della Papamobile per un saluto ai fedeli che lo attendevano sotto la pioggia. Alle 12, poi, si è affacciato dalla Loggia centrale della basilica vaticana per impartire la Benedizione Urbi et Orbi. “Possiamo e dobbiamo fare ognuno la propria parte per respingere l’odio e praticare la pace”, ha detto. Poi ha rivolto gli auguri di Natale in dieci lingue, compreso il latino, il cinese e l’arabo.
La tradizione ripresa da Papa Leone
La mattina del 25 dicembre, quindi, Papa Leone – in processione – ha fatto il suo ingresso nella basilica di San Pietro per celebrare la messa del “giorno” nella solennità del Natale. La celebrazione del “giorno”, come detto, non veniva celebrata da un Pontefice dai tempi di Giovanni Paolo II: l’ultima volta era accaduto nel 1994. A partire dal pontificato di Paolo VI, infatti, i Papi avevano generalmente affidato questa celebrazione a un cardinale, riservandosi personalmente la benedizione Urbi et Orbi del mezzogiorno. Leone ha anche ripreso la tradizione degli auguri di Natale pronunciati in varie lingue, di cui l’ultimo interprete era stato sempre Giovanni Paolo II.
La messa del giorno di Natale
Per la messa di Natale, il Papa ha indossato le vesti di colore bianco: è il colore riservato alla natività e alla risurrezione simbolo della luce della vita e della festa. Prima di iniziare la celebrazione, anche questa mattina Leone si è fermato qualche istante in preghiera silenziosa di fronte al bambino Gesù collocato su un tronetto vicino l’Altare della confessione.

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L’omelia
Le piaghe dell’umanità sofferente a causa della guerra sono state al centro dell’omelia della messa del giorno di Natale celebrata da Leone XIV in San Pietro. Citando Papa Francesco, il Pontefice ha messo in guardia i fedeli dalla “tentazione di essere cristiani mantenendo una prudente distanza dalle piaghe del Signore”, esortando invece a toccare con mano la “carne sofferente degli altri”. “Gesù vuole che tocchiamo la miseria umana, che tocchiamo la carne sofferente degli altri”, ha detto. “Ora la Carne parla, grida il desiderio di incontrarci”, ha aggiunto Leone. “Tanti fratelli e sorelle non hanno parola, spogliati della loro dignità e ridotti al silenzio”, ha continuato il Papa. Invece “la carne umana chiede cura, invoca accoglienza e riconoscimento, cerca mani capaci di tenerezza e menti disposte all’attenzione”.
Dalle tende di Gaza ai profughi di tutto il mondo
E ancora, il Papa si è chiesto: “Come non pensare alle tende di Gaza, da settimane esposte alle piogge, al vento e al freddo, e a quelle di tanti altri profughi e rifugiati in ogni continente, o ai ripari di fortuna di migliaia di persone senza dimora, dentro le nostre città? Fragile è la carne delle popolazioni inermi, provate dalle guerre in corso o concluse lasciando macerie e ferite aperte. Fragili sono le vite dei giovani costretti alle armi, che proprio al fronte avvertono l’insensatezza di ciò che è loro richiesto e la menzogna di cui sono intrisi i roboanti discorsi di chi li manda a morire”.
L’appello per la pace
Per Leone XIV, la vera pace non è un concetto astratto o un equilibrio di forze, ma un evento interiore e sociale che scaturisce dall’empatia: “Quando la fragilità altrui ci penetra il cuore, quando il dolore altrui manda in frantumi le nostre certezze granitiche, allora già inizia la pace”. Essa, ha aggiunto il Papa, “nasce da un vagito accolto, da un pianto ascoltato: nasce fra rovine che invocano nuove solidarietà”. E ancora: “Ci sarà pace quando i nostri monologhi si interromperanno e, fecondati dall’ascolto, cadremo in ginocchio davanti alla nuda carne altrui”.

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La benedizione Urbi et Orbi
La richiesta di pace è stata anche al centro del messaggio che il Papa ha pronunciato dalla Loggia centrale della basilica vaticana. Il Pontefice ha prima rivolto il tradizionale messaggio natalizio ai fedeli presenti in tutto il mondo, poi ha impartito la Benedizione Urbi et Orbi e concesso l’indulgenza plenaria.
“Ognuno può fare la sua parte”
“Chi non ama non si salva, è perduto”, ha detto il Papa nel suo messaggio natalizio. E ancora: “Ecco la via della pace: la responsabilità. Se ognuno di noi a tutti i livelli, invece di accusare gli altri, riconoscesse prima di tutto le proprie mancanze e ne chiedesse perdono a Dio, e nello stesso tempo si mettesse nei panni di chi soffre, si facesse solidale con chi è più debole e oppresso, allora il mondo cambierebbe. Possiamo e dobbiamo fare ognuno la propria parte per respingere l’odio, la violenza, la contrapposizione e praticare il dialogo, la pace, la riconciliazione”. “Non lasciamoci vincere dall’indifferenza verso chi soffre. Gesù assume su di sé la nostra fragilità, si immedesima con ognuno di noi: con chi non ha più nulla e ha perso tutto, come gli abitanti di Gaza; con chi è in preda alla fame e alla povertà, come il popolo yemenita; con chi è in fuga dalla propria terra per cercare un futuro altrove, come i tanti rifugiati e migranti che attraversano il Mediterraneo o percorrono il Continente americano; con chi ha perso il lavoro e con chi lo cerca, come tanti giovani che faticano a trovare un impiego; con chi è sfruttato, come i troppi lavoratori sottopagati; con chi è in carcere e spesso vive in condizioni disumane”, ha proseguito il Papa.
La richiesta di pace per l’Ucraina e il Medio Oriente
Leone ha invocato la pace citando diversi Paesi. “Al Principe della Pace affidiamo tutto il continente europeo, chiedendogli di continuare a ispirarvi uno spirito comunitario e collaborativo, fedele alle sue radici cristiane e alla sua storia, solidale e accogliente con chi si trova nel bisogno. Preghiamo in modo particolare per il martoriato popolo ucraino: si arresti il fragore delle armi e le parti coinvolte, sostenute dall’impegno della comunità internazionale, trovino il coraggio di dialogare in modo sincero, diretto e rispettoso”, ha detto. Poi ha aggiunto: “Desidero inviare un caloroso e paterno saluto a tutti i cristiani, in modo speciale a quelli che vivono in Medio Oriente, che ho inteso incontrare recentemente con il mio primo viaggio apostolico. Ho ascoltato le loro paure e conosco bene il loro sentimento di impotenza dinanzi a dinamiche di potere che li sorpassano. Invochiamo giustizia, pace e stabilità per il Libano, la Palestina, Israele, la Siria, confidando in queste parole divine: ‘Praticare la giustizia darà pace. Onorare la giustizia darà tranquillità e sicurezza per sempre’”.
L’appello per le “guerre dimenticate”
E sulle altre zone martoriate da guerre e conflitti, il Papa ha proseguito: “Dal Bambino di Betlemme imploriamo pace e consolazione per le vittime di tutte le guerre in atto nel mondo, specialmente di quelle dimenticate; e per quanti soffrono a causa dell’ingiustizia, dell’instabilità politica, della persecuzione religiosa e del terrorismo. Ricordo in modo particolare i fratelli e le sorelle del Sudan, del Sud Sudan, del Mali, del Burkina Faso e della Repubblica Democratica del Congo. In questi ultimi giorni del Giubileo della Speranza, preghiamo il Dio fatto uomo per la cara popolazione di Haiti, affinché cessi ogni forma di violenza nel Paese e possa progredire sulla via della pace e della riconciliazione”. Ancora: “Al Principe della Pace domandiamo che illumini il Myanmar con la luce di un futuro di riconciliazione: ridoni speranza alle giovani generazioni, guidi l’intero popolo birmano su sentieri di pace e accompagni quanti vivono privi di dimora, di sicurezza o di fiducia nel domani. A Lui chiediamo che si restauri l’antica amicizia tra Tailandia e Cambogia e che le parti coinvolte continuino ad adoperarsi per la riconciliazione e la pace. A Lui affidiamo anche le popolazioni dell’Asia meridionale e dell’Oceania, provate duramente dalle recenti e devastanti calamità naturali, che hanno colpito duramente intere popolazioni. Di fronte a tali prove, invito tutti a rinnovare con convinzione il nostro impegno comune nel soccorrere chi soffre”.
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