di Matteo Persivale

4 novembre 1982: il pop ha trovato i suoi nuovi re, o meglio il suo re ragazzino, George, 19 anni. Che scriverà un successone dopo l’altro, venderà milioni di dischi e quattro anni dopo si separa dall’amico d’infanzia. Morirà il giorno di Natale del 2016

Ilgiorno di Natale del 2026 saranno trascorsi 10 anni dalla morte di George Michael, avvenuta in un villaggio sul Tamigi, nel South Oxfordshire. Questo articolo è un’anticipazione del numero speciale di “7” che sarà in edicola il 2 gennaio, dedicato agli anniversari del 2026

Il primo 45 giri degli Wham! fu un disastro. Il secondo, peggio. Wham rap! e Young Guns non riescono a entrare nella top 40, i debuttanti George Michael e Andrew Ridgeley e le loro due ballerine si trovano costretti a esibirsi nei pub di provincia tra i lazzi degli ubriachi. Sembrava l’ennesima versione di una storia classica in un sistema discografico che allora – era il 1982 – sfornava complessini pop a raffica: gettati nel tritacarne delle radio, uno ce la faceva e novantanove affondavano.



















































Il destino però aveva altre idee: Top of the Pops, la trasmissione tv musicale allora più famosa del mondo, telefona ai due ragazzi, in extremis, per tappare un buco nella scaletta. Un artista ha cancellato all’ultimo momento, venite voi. Loro dividono la cameretta più economica di un albergaccio a una stella vicino agli studi, c’è un letto singolo e una brandina da bambini, fanno pari e dispari per decidere a chi tocca. Poi però salgono sul palco, si accendono le telecamere, e il mondo conosce i Wham!

4 novembre 1982: il pop ha trovato i suoi nuovi re, o meglio il suo re ragazzino, George, 19 anni. Che scriverà un successone dopo l’altro, venderà milioni di dischi e quattro anni dopo si separa dall’amico d’infanzia che era sempre stato il suo complice nella vita ma artisticamente era un semplice elemento di decorazione. E comincia una carriera solista irripetibile, 25 milioni di copie vendute (non i download di adesso, o gli stream: proprio 25 milioni di persone fisiche che andarono in negozi fisici a acquistare Lp, cd, cassette: oggi pura follia) con Faith. E il mondo canta con lui: «Sarebbe bello se potessi toccare il tuo corpo…», inno al desiderio e alla libertà del quale poi il mondo capì soltanto più tardi il senso profondo, inno cantato da un giovane uomo di famiglia conservatrice costretto a nascondere la sua omosessualità al padre immigrato stakanovista che sognava un figlio medico con moglie e abbondante prole, non un cantante pop scapolo e dalla chioma ossigenata che non portava mai a casa qualche fidanzata.

È una carriera straordinaria, l’ascesa e la caduta. Come all’inizio di quel 1982: il destino che regala la gloria più grande per poi togliere ogni cosa.

George Michael era per metà greco: Georgios Kyriacos Panayiotou. E proprio i greci, tremila anni fa, avevano capito che nessuno può fermare il destino – neanche Zeus, il re dell’Olimpo. Le tre Moire hanno tra le mani il filo della nostra vita: la filatrice le dà inizio, la misuratrice ne determina la durata, e l’inesorabile quel filo recide. È il Fato, che non può essere alterato né dagli uomini né dagli dei, e perfino Zeus mentre cerca (libro XVI dell’Iliade) di salvare suo figlio Sarpedonte viene bloccato dalla moglie, Era. Se osasse opporsi al volere del destino salvando suo figlio, gli spiega, tutti gli altri dei farebbero lo stesso. Gettando non soltanto la guerra di Troia, ma il mondo stesso, nel caos. Al re di tutti gli dei non resta che piangere, e una pioggia rossa fatta di lacrime di sangue staffila la terra.

George Michael. Ascesa e caduta di un (infelice) genio vero

Il Fato aveva deciso, con quella che a noi mortali appare come un’inutile crudeltà, di tagliare proprio nella notte di Natale il filo della vita dell’uomo che aveva scritto una delle canzoni più belle sul Natale, Last Christmas. 25 dicembre 2016, Goring-on-Thames, nella quieta campagna dell’Oxfordshire dove Michael si è ritirato dopo un ventennio di vita complicata, scandali, problemi di dipendenze, depressione, guai con il cuore (ha appena 53 anni). Fadi Fawaz, compagno del cantante, va a svegliarlo. È quasi mezzogiorno, pensa che George abbia dormito troppo, il pranzo di Natale li aspetta. Si accorge immediatamente che il compagno non respira. Ha smesso di respirare da parecchio tempo. Fawaz chiama un’ambulanza, ma non c’è nulla da fare. Arriva la polizia che definisce la morte «senza spiegazione ma non sospetta», scelta provvidenziale perché almeno stronca sul nascere qualsiasi tipo di speculazione tra tabloid e social media, dove il lutto per la morte del genio del pop da 155 milioni di dischi venduti esplode nel pomeriggio di Natale.

L’addetta stampa di Michael, Connie Filippello, rilascia una breve dichiarazione: «Con grande tristezza possiamo confermare che il nostro amato figlio, fratello e amico George è mancato, in casa, a Natale. La famiglia chiede che la sua privacy sia rispettata in questo momento così difficile. Non ci saranno ulteriori commenti in questa fase».

È il terzo gigante della musica a morire nel 2016, dopo David Bowie e Prince.

L’autopsia, il 30 dicembre, non dà però esiti definiti, portando a settimane di incertezza dopo la richiesta di nuovi test tossicologici. Il ritardo alimenta inevitabilmente mesi di ipotesi mediatiche di ogni tipo sulla causa del decesso, visto il consumo di droghe che nel recente passato aveva caratterizzato il tramonto della carriera di Michael. Finalmente il 7 marzo 2017 Darren Salter, capo medico legale dell’Oxfordshire, comunica il risultato ufficiale, concludendo che Michael è morto per cause naturali. La diagnosi è: cardiomiopatia dilatativa, patologia del cuore che ne compromette la capacità di pompare il sangue, spesso portando a insufficienza cardiaca. Aggiunta a una miocardite (infiammazione del muscolo cardiaco) e alla steatosi epatica che ne aveva danneggiato il fegato, è una causa più che sufficiente a fermare nel sonno il cuore del cantante.

Michael non era soltanto un idolo del pubblico, ma era giustamente stimatissimo dai colleghi per la bravura di autore oltre che di interprete, una combinazione molto rara a quei livelli. Elton John, il suo idolo di gioventù insieme al quale aveva duettato al Live Aid incantando il mondo, scrive: «Sono profondamente scioccato. Ho perso un caro amico, un’anima gentile e generosa e un artista geniale». Dopo di lui Madonna, Paul McCartney, Mariah Carey, una lista lunghissima mentre il popolo di George costruisce tempietti spontanei fuori dalle sue case, a Goring come a Londra: fiori, candele, bigliettini, orsacchiotti. Il più triste di tutti: l’amico di sempre Andrew, che da trent’anni era baby-pensionato a Ibiza tra mare e mountain bike grazie ai diritti-monstre di Careless Whisper, canzone che Michael scrisse da solo e, realizzando che sarebbe stata una hit gigantesca, decise di dividerne i frutti – le royalties – con l’amico delle elementari, sistemandolo con quel vitalizio prima della inevitabile separazione. Andrew che, quando George ai tempi della scatenata Club Tropicana temendo la fine della loro amicizia gli confessò una sera d’essere gay, rise di gusto e disse «bene, così le ragazze che ci inseguono saranno tutte mie».

È stata un’ondata di lutto globale impressionante, alimentata da un cocktail esplosivo di fattori: la grande bellezza della sua musica e della sua voce calda e cristallina – ebbe splendide parole per il suo talento la più grande di tutte, Aretha Franklin – e la grande tristezza della morte in solitudine proprio nel giorno di Natale, quando a gennaio avrebbe dovuto ultimare la lavorazione di un documentario sulla sua carriera che poi dovette uscire postumo, terminato dai suoi collaboratori.

Ma soprattutto la tristezza – il rimorso – per l’osceno “outing” forzato a mezzo stampa del 1998 dopo che la polizia l’aveva arrestato a Beverly Hills in un bagno pubblico, adescato da un agente della buoncostume in borghese. L’umiliazione che rivista adesso ci fa capire come il 2025-26 avrà tanti problemi ma almeno oggi quella cosa lì non sarebbe più accettabile, l’intervista estorta nella quale pareva doversi scusare per non essere etero.

È, in questo senso, il fantasma di un sistema mediatico (e, si spera, poliziesco) passato, più vicino all’era vittoriana di Oscar Wilde che alla nostra, dal carcere di Reading alla gogna via satellite in mondovisione.

George Michael riposa nel cimitero londinese di Highgate accanto all’adorata madre che aveva faticato a accettarne la sessualità ma con la quale alla fine avevano fatto pace – il suo biografo più sensibile, James Gavin, pensa che proprio la morte di mamma Lesley nel 1997 per un tumore sia stata la causa dell’accelerazione della caduta di George, tra droghe e depressione e malattie.

Cosa resta, oltre alla musica che continua a vivere nel pantheon del pop? Il ricordo tangibile della sua generosità: con educazione e discrezione d’altri tempi, in vita George Michael aveva tenuto nascosta la sua cospicua attività filantropica, le donazioni a Childline che protegge i bambini vittime di abusi, i milioni al Terrence Higgins Trust per la lotta al Hiv, l’aiuto a tanti bisognosi.

25 dicembre 2025