Banchisa polare con un defict che potere riscontrare nella linea rossa. Credit: European Union, Copernicus Sentinel-X
Un dicembre che fa la storia
(METEOGIORNALE.IT) Diciamolo chiaramente: lassù, in cima al mondo, il meccanismo del freddo si è inceppato. Se Novembre 2025 ci aveva lasciato l’amaro in bocca con la seconda estensione glaciale più bassa di sempre, l’inizio di Dicembre ha deciso di rincarare la dose. I dati forniti dall’EUMETSAT Ocean and Sea Ice Satellite Application Facility (OSI SAF) sono impietosi e non lasciano spazio a dubbi: mai, in questo periodo dell’anno, il Mar Glaciale Artico era apparso così “nudo”.
Siamo, per intenderci, in una situazione di stallo preoccupante. Al 17 dicembre, l’estensione della banchisa faticava a raggiungere gli 11,4 milioni di chilometri quadrati. Una cifra che resta ben al di sotto della media a lungo termine a cui eravamo abituati. Insomma, l’inverno meteorologico è partito, ma il ghiaccio sembra non averne ricevuto la notifica.
L’ombra dell’Amplificazione Artica
Ma il problema non è solo quanto ghiaccio manca oggi. Il vero nodo della questione risiede nelle forti anomalie positive di temperatura che stanno cuocendo l’area polare. Questo eccesso di calore è il carburante di un fenomeno noto come Amplificazione Artica. Di cosa si tratta? In parole povere, l’Artico si sta riscaldando a una velocità doppia o tripla rispetto al resto del pianeta.
Questo squilibrio termico ha effetti diretti e tangibili sulla nostra vita quotidiana, anche qui alle medie latitudini. Quando il Polo si scalda troppo, si riduce la differenza di temperatura con l’Equatore, e questo indebolisce la Corrente a Getto. Il risultato? Un meteo “bloccato” e più estremo. Possiamo trovarci di fronte a ondate di calore persistenti e siccità infinite se l’alta pressione mette radici, oppure, paradossalmente, a irruzioni di gelo severo. Se il Vortice Polare si destabilizza a causa di questo calore intruso, può letteralmente “rompersi” e riversare aria gelida verso l’Europa o il Nord America. È il paradosso del clima che cambia: più caldo lassù può significare freddo estremo quaggiù.
La mappa del deficit
Basta un’occhiata all’elaborazione grafica del Copernicus Climate Change Service (C3S) per cogliere la gravità del momento. Le aree in azzurro mostrano il ghiaccio presente a metà Dicembre 2025, ma è la linea rossa a catturare l’occhio: segna il confine medio del periodo 1991-2020. Il divario è evidente, quasi imbarazzante.
Mancano enormi porzioni di superficie ghiacciata, specialmente attorno alle Isole Svalbard orientali e nel settore nord-orientale del Canada. È proprio lì, tra la Baia di Baffin e la Baia di Hudson settentrionale, che il mare fatica a solidificarsi. Un’anomalia che non è solo statistica, ma sintomo di un ecosistema in affanno.
Occhi puntati dal cielo
In questo scenario in rapida evoluzione, la tecnologia spaziale è l’unico testimone super partes. Senza un monitoraggio satellitare costante, saremmo ciechi di fronte a mutamenti di questa portata. I dati a lungo termine del C3S permettono agli scienziati di calcolare le anomalie e, soprattutto, di capire come i cambiamenti climatici stiano impattando sugli ambienti polari. Avere una base scientifica solida è fondamentale per prendere decisioni informate. Perché quello che succede nell’Artico, raramente resta confinato nell’Artico.
