Ogni giorno le notizie più lette della giornata
Iscriviti e ricevi le notizie via email

Le immagini a Gaza delle tende squassate dalle tempeste torrenziali d’acqua di questi giorni e dei profughi palestinesi costretti a combattere col freddo e col fango alle ginocchia, nella messa mattutina del Natale, ripristinata da Leone XIV con l’inizio del suo pontificato, scuotono profondamente i fedeli nella basilica vaticana. «Il Verbo ha stabilito tra noi la sua fragile tenda» ha detto. Se nella messa celebrata ieri sera a mezzanotte il pontefice aveva fatto sua una celebre riflessione del teologo Ratzinger in cui veniva spiegato che finché «sulla terra non c’è spazio per Dio» significa che non c’è spazio per l’uomo perchè «non accogliere l’uno significa non accogliere l’altro», nel giorno di Natale Papa Prevost ha voluto riprendere il filo del discorso interrotto per portarlo avanti e renderlo plasticamente visibile a tutti con ciò che sta accadendo nella Striscia e in altri luoghi di guerra. Evoca anche la morte di tanti ragazzini mandati al fronte dietro ordini insensati quanto «roboanti».

APPROFONDIMENTI


«Come non pensare alle tende di Gaza, da settimane esposte alle piogge, al vento e al freddo, e a quelle di tanti altri profughi e rifugiati in ogni continente, o ai ripari di fortuna di migliaia di persone senza dimora, dentro le nostre città? Fragile è la carne delle popolazioni inermi, provate da tante guerre in corso o concluse lasciando macerie e ferite aperte».

Così come sono «fragili le menti e le vite dei giovani costretti alle armi, che proprio al fronte avvertono l’insensatezza di ciò che è loro richiesto e la menzogna di cui sono intrisi i roboanti discorsi di chi li manda a morire». La messa

Leone XIV a maggio scorso si era presentato al mondo per la prima volga parlando subito di pace «disarmata e disarmante». Anche oggi riparte dal Vangelo per predicare che «la pace di Dio nasce da un vagito accolto, da un pianto ascoltato: nasce fra rovine che invocano nuove solidarietà, nasce da sogni e visioni che, come profezie, invertono il corso della storia. Sì, tutto questo esiste, perché Gesù è il Logos, il senso da cui tutto ha preso forma».

Naturalmente il Papa sa bene che nemmeno il Vangelo ignora la «resistenza delle tenebre alla luce», che le difficoltà a far ascoltare il pianto degli umili, dei fragili, di chi non ha più voce è a volte qualcosa di simile a una missione impossibile. Eppure Leone XIV crede nei miracoli benchè appena tre giorni fa, proprio alla vigilia di Natale, abbia ammesso la sua profonda delusione per il diniego di Vladimir Putin a rispettare almeno la tregua natalizia. Anche stanotte, infatti, altri droni russi si sono abbattuti su Kiev e su altre regioni devastando ulteriormente il territorio e lasciato sul terreno vittime civili. «Fino a oggi gli autentici messaggeri di pace seguono il Verbo su questa via, che infine raggiunge i cuori: cuori inquieti, che spesso desiderano proprio ciò a cui resistono. Così il Natale rimotiva una Chiesa missionaria, sospingendola sui sentieri che la Parola di Dio le ha tracciato». 

Per certi versi l’omelia natalizia di Papa Prevost ricalca le coordinate che vuole imprimere al suo pontificato. Una direzione ben precisa che ha illustrato a cardinali e vescovi negli auguri alla curia, tratteggiando una Chiesa missionaria e unita, proprio come aveva in mente «l’amato Papa Francesco» nella esortazione Evangelii Gaudiium: «A volte sentiamo la tentazione di essere cristiani mantenendo una prudente distanza dalle piaghe del Signore. Ma Gesù vuole che tocchiamo la miseria umana, che tocchiamo la carne sofferente degli altri. Aspetta che rinunciamo a cercare quei ripari personali o comunitari che ci permettono di mantenerci a distanza dal nodo del dramma umano, affinché accettiamo veramente di entrare in contatto con l’esistenza concreta degli altri e conosciamo la forza della tenerezza».

Natale, dunque, resta l’occasione per «un nuovo giorno! Anche noi partecipiamo di questa svolta, alla quale nessuno sembra credere ancora: la pace esiste ed è già in mezzo a noi». Basta solo vederla, ascoltarla nel pianto di un bambino o nel lamento di chi non ce la fa più e ha bisogno di essere aiutato.«Mondano è il contrario: avere per centro sé stessi. Il movimento dell’Incarnazione è un dinamismo di conversazione. Ci sarà pace quando i nostri monologhi si interromperanno e, fecondati dall’ascolto, cadremo in ginocchio davanti alla nuda carne altrui».