Trevor Bingley non ha trascorso quello che si suol dire un anno entusiasmante. Dopo il disastro della casa con l’ape – che gli costò praticamente la carriera da housesitter nella precedente Man vs Bee (2022) – si guadagna da vivere come custode in una scuola elementare, lavoro modesto che a malapena gli permette di pagare l’affitto. Natale si avvicina e la prospettiva di passarlo completamente solo diventa concretissima: l’ex moglie Jess ha altri piani, che coinvolgono anche la figlia adolescente Maddy.
Ma in Man vs Baby, come un fulmine a ciel sereno arriva l’opportunità che sembra un vero e proprio miracolo natalizio: un lavoro da “guardiano” in un lussuoso attico londinese che paga esattamente le diecimila sterline necessarie per coprire le spese universitarie della figlia. C’è solo un piccolo problema: nell’ultimo giorno di scuola prima delle vacanze, nessuno viene a ritirare il bambino che interpretava Gesù nel presepe vivente. Di chi è quel pargolo misterioso? Trevor, che non ha tempo da perdere e non riesce a contattare nessuno di dovere, decide di portarlo con sé, dando inizio ad una serie di rocambolesche disavventure.
Chi non muore si ri(ve)de
Si riducono gli episodi, da nove a quattro, per la nuova miniserie sequel targata Netflix che vede Rowan Atkinson tornare negli imbranati panni di Bingley, personaggio che aveva generato un notevole numero di visualizzazioni a dispetto di un responso critico relativamente tiepido. E se anche in quest’occasione il divertimento non manca, con i nostalgici dell’iconico Mr. Bean che ritroveranno qua e là accenni e rimandi, Man vs Baby presenta le stesse problematiche che avevano già caratterizzato l’originale.
Se là era un’ape, questa volta lo sparring partner è addirittura un neonato combina guai, al centro di un’operazione dichiaratamente pensata per il periodo natalizio e per una platea di grandi e piccini, con tanto di trama che verte proprio nei giorni intorno al 25 dicembre.
Sospensione dell’incredulità è requisito fondamentale per qualsiasi commedia fisica, ma Man Vs Baby esagera la forzatura, caricando eccessivamente la farsa e abbandonando in partenza ogni scrupolo sulla possibile verosimiglianza. Sarà bastata la simpatia del protagonista e la breve durata a rendere l’operazione qualcosa più di un banale more of the same?
Un contesto di puro supporto
Nessuno dei personaggi secondari esiste come individuo credibile a sé stante, ma unicamente come pedina comica a disposizione per le varie gag di Bingley: sono funzioni narrative progettate per creare ostacoli temporanei o fornire quei piccoli eventi che fanno procedere l’assai limitata trama principale. Pur condensata in due ore complessive di visione, la storia ha infatti davvero poco da offrire, con tre quarti ambientati quasi unicamente in quel lussuoso attico all’ultimo piano, palcoscenico di situazioni sempre più paradossali e inverosimili nelle quali il Nostro si trova a fare i conti con le bizze di un bebè quanto mai scatenato.
Pur utilizzando veri bambini per molte scene, la produzione ha adottato diverse tecniche per integrarli in modo fluido. In un’intervista il regista David Kerr ha spiegato di aver impiegato coppie di gemelli identici e di aver sfruttato l’ausilio del machine learning per sviluppare molte espressioni facciali e CGI.
Naturalmente Man vs Baby contiene l’inevitabile messaggio edificante sull’importanza dei legami e sul ritrovato spirito natalizio, mostrando come anche un uomo solo e sfortunato possa ritrovare il lato più umano se solo è capace di aprire finalmente il proprio cuore al mondo. Trevor inizia da solo ma finisce circondato da persone che gli vogliono bene, in quell’epilogo dove l’atmosfera delle feste contagia tutti con la classica dose di sentimentalismo a tema.
La simpatia di Atkinson e i suoi sguardi stralunati valgono ovviamente il tempo della visione, almeno per quel pubblico in cerca di qualcosa di breve e disimpegnato da guardare possibilmente con prole a carico. Ma chi rimpiange il passato ben più cinico e irriverente dell’attore inglese resterà probabilmente deluso da questa sua ennesima incursione family-friendly, dove non riesce ad esprimere pienamente quello stile che lo ha reso famoso.
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