di
Federico Fubini

Il conflitto dura ormai da così tanto, che sta modellando su di sé le strutture dell’economia e della società russa: nascono nuovi mestieri mentre almeno 34 imprenditori e manager della filiera militare-industriale sono in carcere

Vladimir Putin paragona spesso l’aggressione all’Ucraina alla «Grande guerra patriottica» contro il Terzo Reich. Ma forse neanche lui ha pensato fino in fondo alle implicazioni. Tra venti giorni la guerra all’Ucraina scatenata il 24 febbraio 2022 sarà durata per la Russia più della Seconda guerra mondiale. 

Allora l’Armata rossa in 1.418 giorni respinse e mise in rotta la Wehrmacht, quindi proseguì fino a occupare l’Europa centro-orientale. Ottant’anni dopo, l’esercito di Mosca è impantanato in poche decine di chilometri quadrati di Donbass contro forze cinque volte meno numerose e non riesce a consolidare il controllo di piccoli centri devastati come Pokrovsk e Kupiansk. 



















































Il conflitto dura ormai da così tanto, che sta modellando su di sé le strutture dell’economia e della società russa. Nascono nuove rendite di posizione per alcuni, mentre altri si lasciano andare ad atti di autolesionismo che ricordano precedenti fatali nella storia sovietica. 
Nel gennaio 1969 uno studente ventunenne di Praga, Jan Palach, si dette fuoco nella piazza San Venceslao in un atto di denuncia dell’invasione dell’Armata rossa di pochi mesi prima. Cinquantacinque anni dopo Vladimir Arsenyev, un imprenditore russo attivo nel complesso militare-industriale, si è cosparso di benzina e si è immolato sulla Piazza Rossa di fronte al Cremlino esattamente nello stesso modo.

Intanto però c’è chi ricava dalla guerra nuovi mestieri: per esempio una torma di intermediari che prospera procurando all’esercito volontari disposti a firmare i contratti per combattere in Ucraina. La vicenda di Vladimir Arsenyev fa di lui un’eccezione solo per il tentativo – fallito – di togliersi la vita. Non per le condizioni che lo hanno portato a quel gesto: oggi decine di imprenditori russi dell’industria di guerra sono in carcere o sotto processo per non essere riusciti a mantenere il ritmo frenetico delle consegne di materiale bellico imposto dal governo. 

Nel caso di Arsenyev, uno scienziato settantacinquenne, il contratto del ministero della Difesa prevedeva la produzione di dispositivi di comunicazione integrati ai caschi per gli equipaggi dei tank. L’azienda che lui dirige, Istituto centrale di ricerca scientifica Volna, avrebbe dovuto decuplicare la produzione da cinquemila a cinquantamila pezzi all’anno per rifornire una controllata del colosso dell’industria militare Rostec. Questa controllata porta lo stesso nome dell’«associazione industriale di ricerca», Luch (traducibile con «raggio di luce, fascio laser»), che prima della caduta del Muro di Berlino raccoglieva informazioni per conto del KGB in Germania Est. L’omonimia non sembra un caso e dice qualcosa della struttura del potere russo che oggi guida l’aggressione all’Ucraina. 

L’attuale amministratore delegato di Rostec, Sergey Chemezov, lavorò per la Luch del KGB nella Repubblica democratica tedesca degli anni ’80. Fu allora che Chemezov conobbe il suo collega e coetaneo Vladimir Putin e questi da allora l’ha sempre voluto con sé negli incarichi più delicati: nell’amministrazione presidenziale di Boris Yeltsin negli anni ’90, quindi al vertice dell’apparato militare-industriale quando Putin ha consolidato il suo potere al Cremlino nel nuovo secolo. 

È contro uomini così che si è scontrato l’imprenditore e scienziato Arsenyev con la sua commessa di ricetrasmittenti per i tank. La sua vicenda è ricostruita, per la prima volta, in un servizio di Reuters. Le consegne di Volna per la Luch, avviate nel 2022, iniziano a subire ritardi a causa di alcuni dei problemi dell’economia russa in questi anni di guerra. 

Con milioni di persone coinvolte nello sforzo bellico e nell’industria militare-industriale, almeno 650 mila uomini fuggiti all’estero, più oltre un milione fra morti e feriti in Ucraina, nell’economia modellata da Putin la scarsità di manodopera è ormai cronica. 
Gli economisti indipendenti Alexader Koryandr e Alexandra Prokopenko stimano che oggi la domanda di lavoro (inclusa l’occupazione attuale) sia superiore all’offerta di alcune centinaia di migliaia di unità. 

In più, le sanzioni rallentano e rendono più cara la fornitura di componenti. Ciò contribuisce alla recessione in circa tre quarti dei settori industriali – soprattutto nelle produzioni civili – mentre anche la produzione di armi, munizioni e prodotti metallici finiti ristagna. 

Tutti questi problemi hanno pesato anche sull’impresa di Arsenyev, ma il potere in Russia non accetta giustificazioni. Dmitry Medvedev, che rappresenta Putin in un organo di coordinamento fra esercito e aziende chiamato «Consiglio militare-industriale», nel marzo del 2023 ha letto agli imprenditori un telegramma di Josif Stalin risalente alla Seconda guerra mondiale: i produttori che avrebbero fornito in ritardo armi all’esercito – affermava il dittatore allora – sarebbero stati «schiacciati come criminali». Già dal 2017 il ritardo nelle consegne militari «per la ricerca di un profitto personale» in Russia è un reato punibile con dieci anni di carcere; ma dal 2023 il rifiuto di firmare un contratto di fornitura all’esercito o ritardi nelle consegne sono perseguibili penalmente anche senza «ricerca di un profitto personale» del soggetto incriminato. Questi ingranaggi punitivi sono scattati contro Arsenyev. 

Rostec ha rivisto i contratti con la sua azienda, tagliando i compensi e portando Volna sull’orlo del fallimento. È allora che Arsenyev si è dato fuoco a pochi passi dal mausoleo di Vladimir Lenin, sulla Piazza Rossa.

 E il suo non è un caso isolato. Secondo Reuters, oggi in Russia almeno 34 imprenditori e manager della filiera militare-industriale sono in carcere: condannati o sotto processo per aver «danneggiato» contratti, ordinativi e consegne militari dall’inizio della guerra totale all’Ucraina nel 2022. 

Intanto però c’è chi nella guerra ha trovato nuove fonti di profitto. Il sito russo di giornalismo indipendente Vazhnye Istorii  («Storie importanti») riferisce di un nuovo mestiere nato in questi anni: l’intermediario o procuratore di uomini per l’esercito che per ogni nuovo «volontario» destinato al tritacarne dell’Ucraina può guadagnare fino all’equivalente di 6.100 euro (o anche di più nel caso delle frequenti truffe ai danni delle reclute). 

Il modello di reclutamento per la guerra mira ad evitare mobilitazioni, delle quali Putin teme l’impopolarità. I soldati formalmente sono sempre volontari che firmano un contratto con l’esercito, con un bonus d’ingresso che in alcune regioni può arrivare fino a 36.500 euro e uno stipendio mensile fino a 2.200 euro. Nel caso delle reclute della regione di Mosca, in alcuni casi è prevista anche la cancellazione dei debiti personali fino a dieci milioni di rubli (107 mila euro). Le somme che possono essere spartite sono dunque sostanziali e alimentano un’intera economia attorno alla firma dei contratti. 

Siti russi di annunci come Avito sono pieni di offerte per posizioni da «reclutatore per l’Operazione militare speciale» pubblicati da agenzie specializzate. Questi reclutatori possono lavorare di persona o semplicemente online, cercando di agganciare sui social media possibili candidati alla guerra con promesse spesso false. Si pubblicizzano lavori da «cuoco» o da «conducente di camion» o da dipendente di una società di fornitura dell’esercito nelle retrovie; l’offerta è sempre sulla base di contratti annuali, lasciando credere che dopo i dodici mesi i volontari potranno tornare a casa. È tutto falso, naturalmente. 

Quasi mai le agenzie e gli intermediari spiegano che il ritorno a casa non è previsto: dopo il primo anno il rinnovo dei contratti è automatico, senza possibilità di dimissioni, mentre il comandante dell’unità a cui si è assegnati ha potere insindacabile di mandare i «cuochi» o «conducenti di camion» in prima linea (come regolarmente accade). Intanto però gli intermediari ricevono parte dei bonus concessi alle reclute al momento della firma. Essi stessi poi dividono il premio con l’agenzia che li ha reclutati per rastrellare la rete in cerca di prede. 

E poiché la Russia deve sostituire ogni mese circa 30 mila fra morti e feriti nella guerra, ormai sono cadute tutte le barriere: i broker hanno piena facoltà di spingere anche alcolisti, tossicodipendenti, soggetti affetti da HIV, epatite o sifilide a firmare contratti. Spesso mandano nell’esercito uomini malati di oltre cinquant’anni, incapaci di camminare per cento metri con lo zaino dell’esercito. 

Dopo il vertice di Anchorage fra Putin e Donald Trump e con il disgelo russo-americano, ora gli intermediari usano spesso anche un altro argomento: invitano le potenziali reclute ad affrettarsi a firmare e così incassare il bonus, perché un accordo sarebbe «vicino» e potrebbero non ripresentarsi altre occasioni. Lasciano intendere che le reclute potrebbero essere rispedite a casa prima ancora di arrivare al fronte perché – dicono – i giorni della battaglia ormai volgono al termine. Poco importa che l’esercito di Putin sia impantanato fra le macerie Donbass quasi da più tempo di quanto servì a Stalin a creare un impero in Europa.

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26 dicembre 2025 ( modifica il 26 dicembre 2025 | 10:43)