di
Ruggiero Corcella

Per anni la ricerca sulla longevità ha incrociato geni, ambiente e stili di vita, cercando di spiegare perché alcune persone invecchiano mantenendo corpo e mente in salute. Oggi un nuovo filone di studi e testimonianze punta l’attenzione sui cosiddetti «super ager»: individui over 80 che convivono con l’età anagrafica ma sfidano il declino fisico e cognitivo

Fin dall’inizio della sua storia, l’essere umano ha inseguito un’idea tanto affascinante quanto irraggiungibile: sottrarsi al tempo. Dalle acque miracolose dell’eterna giovinezza raccontate nei miti antichi, agli alchimisti medievali in cerca dell’elisir di lunga vita, fino alla letteratura moderna, l’ossessione per non invecchiare attraversa i secoli come una costante. Ne «Il ritratto di Dorian Gray», Oscar Wilde affida alla finzione una verità scomoda: il desiderio di restare giovani ha sempre un prezzo, spesso pagato altrove — nel corpo, nella coscienza, nella realtà.

La moderna ricerca

Oggi quell’antico sogno non si esprime più attraverso magie o ritratti maledetti, ma attraverso laboratori, algoritmi, integratori, test genetici e promesse tecnologiche. La giovinezza eterna non è più un mito, ma una parola d’ordine. E non riguarda soltanto imprenditori visionari o guru della Silicon Valley. Anche figure simbolo del potere globale hanno lasciato trapelare, negli ultimi anni, l’idea che vivere anche fino ai 150 anni non sia più fantascienza, ma un obiettivo plausibile: lo hanno fatto, in forme diverse anche i leader di Stati Uniti, Russia e Cina, Donald Trump, Vladimir Putin e Xi Jinping, alimentando un immaginario in cui la longevità estrema diventa una nuova frontiera del prestigio e del controllo.



















































Come invecchiamo

Eppure, mentre il dibattito pubblico si accende attorno all’idea di vivere sempre, la scienza più solida sposta l’attenzione su una domanda diversa, forse più scomoda ma più realistica: come invecchiamo? In cerca di risposte fondate sull’evidenza scientifica, negli ultimi anni, si analizzano i cosiddetti super ager, persone di età avanzata – tipicamente oltre gli 80 anni – che si distinguono non solo per la longevità, ma per il mantenimento di funzioni mentali e fisiche considerevoli rispetto alla media dei coetanei. Il Washington Post riporta alcuni degli esempi balzati agli onori delle cronache. 

Negli ultimi anni, cardiologi, gerontologi e ricercatori di istituti come lo Scripps Research Translational Institute hanno studiato questi individui proprio per capire quanto la genetica pesi rispetto all’ambiente e ai comportamenti adottati lungo tutta la vita. I risultati preliminari suggeriscono che, sebbene alcune persone possano avere predisposizioni favorevoli, lo stile di vita resta il fattore più determinante.

Le «sirene» dei social media

Sui social media crescono e si diffondono miti sulla longevità. Secondo Eric Topol, cardiologo e ricercatore dello Scripps Research Translational Institute, la disinformazione su longevità, intelligenza artificiale e genetica ostacola la comprensione scientifica reale e può generare false illusioni tra il pubblico. Topol sottolinea l’importanza di informazioni affidabili, contestualizzate e basate su dati clinici solidi, perché solo così si può educare la popolazione sulle strategie realistiche per invecchiare bene.
Questo si collega con la necessità di distinguere tra evidenze forti e promesse non fondate, un principio che guida anche le linee di ricerca sui super ager.

Alimentazione: dieta mediterranea, varia e poco processata

Uno dei pilastri dello stile di vita dei super agers è l’alimentazione. Tra gli esempi riferiti dal Wahington Post c’è Marion Nestle, 89 anni, nota esperta di nutrizione, ribadisce da anni il principio semplice ma fondamentale di mangiare cibo vero, poco processato e prevalentemente vegetale.
Allo stesso modo, la vita di Maria Branyas Morera, morta a 117 anni in buone condizioni di salute, offre una testimonianza significativa: negli ultimi anni della sua vita aveva una dieta tipica mediterranea, con yogurt naturale, pesce, olio d’oliva e frutta. Secondo gli esperti, non fu solo il tipo di alimentazione a fare la differenza, ma la costanza e la semplicità quotidiana di queste scelte.
Il loro sitle di vita conferma la validità di concetti nutrizionali consolidati a livello scientifico: diete equilibrate, ricche di vegetali, fibre e grassi «buoni», con riduzione degli alimenti ultra-processati, sono associate a migliori performance metaboliche e minor rischio di malattie croniche.

Muoversi sempre

Se l’alimentazione è il carburante, il movimento è il motore della buona salute. Per super ager come Emma Maria Mazzenga, 92 anni, la corsa regolare – due o tre volte a settimana – rappresenta una routine che non solo mantiene il corpo attivo ma rafforza anche la resilienza psicologica.
E poi c’è Jeannie Rice, 77 anni, atleta amatoriale che corre fino a 70-75 miglia la settimana (100-120 chilometri), con una capacità aerobica paragonabile a quella di una persona di 25 anni. Il suo esempio dimostra che non è mai troppo tardi per iniziare. La ricerca ha inoltre evidenziato che l’esercizio – in particolare resistenza muscolare e attività aerobica regolare – può essere uno dei pochi interventi con evidenza concreta nel rallentare l’invecchiamento biologico.

L’importanza delle relazioni sociali

Tutti i super ager citati sottolineano l’importanza delle relazioni sociali. Rimanere connessi con amici, familiari e comunità non è solo un piacere personale: diversi studi mostrano che l’isolamento sociale è uno dei principali fattori di rischio per declino cognitivo e malattie neurodegenerative.
Maria Branyas Morera, per esempio, manteneva frequenti contatti sociali e interazioni quotidiane con chi la circondava. Jeannie Rice non solo correva, ma usciva regolarmente con gli amici e partecipava ad attività collettive. La socialità diventa così un «vaccino naturale» contro la solitudine e l’apatia, condizioni che spesso accelerano i fenomeni di decadimento nell’età avanzata.

Superare gli ostacoli

Un altro elemento ricorrente nei super agers è la capacità di riprendersi dopo le difficoltà. Contrariamente alla visione comune che vede l’invecchiamento come un lento declino, molte persone anziane raccontano di aver trovato un nuovo slancio dopo eventi negativi, come malattie o limitazioni fisiche.
Questa resilienza è stata documentata anche da studi che mostrano come, con le giuste condizioni – sonno adeguato, supporto sociale, attività fisica – molte persone oltre i 60 anni riescano a tornare a livelli di benessere sorprendenti, migliorando anche dopo periodi di salute compromessa.

Lo «sguardo» mentale conta quanto il corpo

Infine, l’atteggiamento mentale emerge come un ingrediente imprescindibile. Si Liberman, 101 anni, altro esempio riportato dal Wahington Post, racconta che il suo ottimismo non è stato solo un vezzo emotivo, ma una strategia di vita. Affrontando un’infanzia difficile, gravi incidenti e problemi di salute, ha sempre mantenuto una visione positiva sul futuro: «Se ho un raffreddore, penso che andrà meglio. Se sto attraversando un periodo difficile, penso che passerà». Questa predisposizione non deve essere confusa con un semplice pensiero positivo superficiale. È piuttosto una capacità riconosciuta dalla psicologia positiva di modulare lo stress, sostenere l’adattamento e rafforzare la salute mentale, tutti fattori che – mescolati a cibo sano, movimento e relazioni – contribuiscono a una vita piena anche in età avanzata. 

26 dicembre 2025