
Siamo spiati dalle nostre Smart TV: se hai uno di questi marchi, vendi subito – okmugello.it © N. c.
Cinque grandi marchi denunciati dal Procuratore Generale: dalle password ai campanelli smart, ecco cosa viene raccolto davvero
La denuncia arriva dal Texas ma il sospetto è globale. Il Procuratore Generale dello stato, Ken Paxton, ha avviato un’azione legale contro cinque colossi dell’elettronica di consumo – Sony, Samsung, LG, Hisense e TCL – accusandoli di raccogliere dati sensibili dagli utenti delle smart TV all’insaputa di questi ultimi. I dispositivi, secondo l’accusa, monitorano ciò che viene visualizzato attraverso un sistema chiamato Automated Content Recognition (ACR), capace di catturare screenshot ogni 500 millisecondi, inviare informazioni in tempo reale alle aziende e trasmetterle a terzi, violando le leggi texane sulla tutela dei consumatori.
Il comportamento descritto nella denuncia sarebbe equiparabile a uno spyware, non solo per la frequenza e l’automatismo con cui opera, ma soprattutto per la mancanza di consenso esplicito da parte degli utenti. L’accusa più grave è quella di aver attivato la funzione già in fase di configurazione iniziale, sfruttando interfacce fuorvianti e opzioni nascoste, il tutto attraverso i cosiddetti dark pattern. Una pratica, questa, considerata illegale secondo il Deceptive Trade Practices Act del Texas, che prevede sanzioni fino a 250.000 dollari per ogni violazione.
Raccolta segreta di dati e sorveglianza domestica
Nel dettaglio, il sistema ACR installato sulle smart TV consente ai produttori di rilevare frame video, identificare contenuti visualizzati e associare tali dati al profilo utente. Questo significa che ogni azione compiuta davanti allo schermo – dalla visione di un film alla consultazione di una videocamera smart – può essere registrata e tracciata. Non solo: le denunce segnalano che vengono potenzialmente raccolti dati come password, carte di credito, codici d’accesso, e persino immagini provenienti da campanelli intelligenti connessi alla rete domestica.

A destare ulteriore preoccupazione è la destinazione finale di questi dati. Secondo quanto riportato nel fascicolo depositato, nel caso dei marchi Hisense e TCL, esisterebbe il rischio concreto che le informazioni finiscano nelle mani del governo cinese, in base a una normativa locale che obbliga le aziende a collaborare con le autorità di Pechino. Una prospettiva che trasforma queste televisioni, teoricamente innocue, in dispositivi potenzialmente usati per la sorveglianza di massa.
La questione, quindi, non riguarda solo la pubblicità personalizzata, ma si allarga a un campo ben più delicato: la sicurezza dei dati domestici. Gli screenshot automatici, infatti, non distinguono tra contenuti pubblici e privati, e possono includere anche interfacce bancarie, email personali, codici temporanei di autenticazione, o qualsiasi altro elemento visibile sullo schermo al momento della cattura. Il tutto senza che l’utente venga informato in modo chiaro o trasparente.
La denuncia in Texas e le risposte che non arrivano
Il procedimento legale avviato da Ken Paxton mira a interrompere immediatamente la raccolta, la vendita e la condivisione dei dati da parte dei cinque produttori. In particolare, si richiede che le aziende smettano di installare e attivare di default ACR sui dispositivi venduti in Texas. Nella denuncia viene anche citata una funzionalità ancora più controversa: su alcune TV LG sarebbe stato installato Copilot – l’assistente basato su AI di Microsoft – senza alcun consenso da parte dell’utente, aumentando il livello di controllo potenziale.
Le aziende coinvolte non hanno ancora rilasciato dichiarazioni ufficiali, lasciando spazio a speculazioni e interrogativi. Intanto, Consumer Reports ha pubblicato una guida per disattivare le funzionalità di sorveglianza, ma sottolinea che spesso le opzioni non sono facilmente accessibili, e in molti casi non garantiscono una vera disattivazione.
Il nodo principale, secondo gli atti, è l’assenza di trasparenza. I consumatori non sanno cosa accade durante la visione dei contenuti, non possono controllare la quantità e il tipo di dati raccolti, e vengono ingannati da una falsa promessa di privacy. Il caso del Texas potrebbe diventare un precedente importante anche per altri stati o paesi. Non è ancora chiaro, infatti, se pratiche simili siano adottate anche nel resto del mondo, ma la natura globale dei marchi coinvolti lascia aperta questa possibilità.
Il contesto normativo statunitense, più permissivo di quello europeo in materia di dati personali, potrebbe trasformare la causa del Texas in un banco di prova per nuove regolamentazioni federali. E non a caso, nelle community tecnologiche e giuridiche si parla già di un “effetto domino”, con cause simili pronte a emergere in altri stati. Per ora, le smart TV restano accese. Ma anche gli occhi che le guardano.