di
Giampaolo Chavan
La quarantacinquenne è stata prima indagata e poi condannata a due anni di reclusione per circonvenzione d’incapace. Ha querelato il conduttore e la giornalista Barbara di Palma dopo un servizio sulla vicenda
Il conduttore della Vita in diretta Alberto Matano, 53 anni, e l’inviata Barbara di Palma, 46, sono stati denunciati per diffamazione aggravata dalla badante A.S.. La quarantacinquenne è stata prima indagata e poi condannata nel novembre scorso a due anni di reclusione per circonvenzione d’incapace. L’assistente, originaria dell’Albania, avrebbe indotto la baronessa Maria Malfatti, morta il 31 ottobre 2023 all’età di 87 anni a Rovereto, approfittando del suo decadimento cognitivo, a nominarla erede universale e a lasciarle tutti i beni pari a cinque milioni di euro. È la tesi sposata anche dai nove nipoti costituitisi parte civile nel processo.
La querela
Il caso di A.S. era stato trattato nella trasmissione della “Vita in diretta”, andata in onda il 16 aprile scorso quando l’udienza preliminare era ancora in corso. Nel mirino dell’attuale commerciante nel settore della ristorazione è finito, l’aggettivo “diabolica” com’è stata definita sia dal conduttore che dalla collega durante il servizio. Nella sua denuncia, poi, ha puntato il dito contro l’ipotesi, avanzata sempre dai due giornalisti di essere componente di un’organizzazione truffaldina.
La querela per diffamazione a carico dei due giornalisti ha subìto, però, un contraccolpo il 25 giugno scorso quando la sostituta della Procura di Rovereto Viviana Del Tedesco ha depositato la richiesta di archiviazione nell’ufficio del gip. La quarantacinquenne non si è data per vinta e con il suo legale, l’avvocato Nicola Canestrini, ha presentato l’opposizione all’istanza della Procura. Ora il fascicolo è nelle mani del gup che nei prossimi giorni, dovrebbe fissare un’udienza per discutere della vicenda e poi decidere sull’istanza della difesa.
«Pura ricostruzione giornalistica»
Matano e di Palma, difesi dall’avvocato veronese Luca Tirapelle, parlano di «una pura ricostruzione giornalistica, priva di intento denigratorio o offensivo nei confronti della persona offesa». Nel servizio, inoltre, vengono riportate dichiarazioni di amiche dell’anziana che definiscono l’atteggiamento della badante come «amorevole» proprio per dare una visione equilibrata della vicenda. E sull’aggettivo “diabolico” «sebbene evochi in sé un concetto negativo – riporta la memoria dell’avvocato Tirapelle – rimanda nell’accezione attuale a condotte astute e ingannevoli che sono del tutto coerente con l’agito della denunciante».
L’avvocato della badante
Dal canto suo, la badante replica nell’opposizione all’archivazione, che «non c’è nessun dubbio “sulla natura inequivocabilmente offensiva dell’aggettivo “diabolica” – scrive l’avvocato Canestrini – che non viene utilizzato per definire la condotta della mia assistita ma la sua stessa personalità”. È un aggettivo diffamatorio in quanto sinonimo di “degno del diavolo, maligno e perverso».
Il legale poi evidenzia come nella sua richiesta di archiviazione, la Procura «ha completamente ignorato i passaggi nel servizio de La Vita in diretta relativi all’appartenenza della signora S. ad una fantomatica organizzazione che avrebbe pianificato la circonvenzione ai danni dell’anziana signora». Si tratta «di una congettura priva di riscontri e mai neppure ipotizzata dalla Procura». Insomma bastava leggere gli atti processuali per scoprire che la badante «non è mai stata definita diabolica né si ipotizza che facesse parte di un’organizzazione». La difesa della signora chiede quindi che il gip imponga al pm l’imputazione coatta a carico dei due giornalisti o quantomeno la prosecuzione delle indagini preliminari.
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26 dicembre 2025 ( modifica il 26 dicembre 2025 | 12:30)
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