The Island ci ricorda quanto Michael Bay abbia spesso ricevuto un odio esagerato da parte della critica e di parte del pubblico. Il paradosso? Quando ha floppato, lo ha fatto con i suoi film migliori, o comunque quelli meno legati ad una commercialità pura e The Island, uscito in sala il 22 luglio del 2005, assieme a 13 hours: The Secret Soldiers of Benghazi e Ambulance, meritava molto ma molto di più. The Island nasce come prima collaborazione tra Michael Bay e la Dreamworks di Steven Spielberg, impressionato dai suoi blockbuster, dalla sua capacità di legare spettacolarità, dinamismo, con una nuova dimensione estetica in cui il videoclip, i nuovi mezzi della Hollywood tecnologica e l’eredità dell’action di John Woo si fondono assieme. La sceneggiatura è scritta da Caspian Tredwell-Owen, poi migliorata da Alex Kurtzman e Roberto Orci, e ci dona un film abbastanza curioso perché se da un certo punto di vista recupera parte dell’eredità cyberpunk di fine anni ’90, d’altro canto è anche un superamento di quel filone e delle sue atmosfere più radicali. In quell’inizio di XXI secolo, la fantascienza guarda negli occhi un futuro digitale, si parla di nuovo di distopia ma in modo diverso, e si cerca in sala di trovare una via di mezzo tra tematiche e spettacolarità. Il che non vuol dire che The Island non proponga comunque un’analisi politica e sociale, non così banale come la critica dell’epoca si affretterà ad addossargli.
Una distopia dai toni glamour e futuristici
© TM &2005 DreamWorks Productions, LLC
The Island ci porta nel 2019, in una specie di gigantesca comunità futuristica, uno dei pochi rifugi sicuri dell’umanità, visto che la Terra a causa di un virus, è diventata sostanzialmente inospitale. Li facciamo la conoscenza di Lincoln-6-Echo (Ewan McGregor) e di Jordan Due Delta (Scarlett Johansson), membri di quella comunità, dove tutto pare perfetto, tutti sono vestiti con la stessa divisa, si tengono in forma, sono protetti, anzi iper-protetti. Ogni tanto, senza preavviso, scatta una lotteria con cui alcuni fortunati vengono mandati presso “l’isola”, l’ultimo rifugio sicuro all’aria aperta. Lo spettatore mentre osserva quella loro strana civiltà, quella gigantesca SPA a cielo aperto, si rende conto che quegli individui, quegli uomini e donne, non hanno alcuna abilità reale, e sono in realtà tenuti prigionieri da un capillare sistema di controllo. Lincoln in particolare comincia a non accettare più la realtà ufficiale, quella dieta studiata nei minimi dettagli, tutto quello strano ordine precostituito. Jordan è furba ma non così ribelle come lui, che comincia a notare diverse anomalie nella loro struttura sociale, il fatto che ci sia un continuo via vai di sopravvissuti, e nessuno gli dia reali dettagli su cosa sia l’isola. Tormentato da incubi, in breve scopre l’orribile realtà, quasi per caso: chi vince è destinato ad essere ucciso, ma non riesce a capire il perché. Assieme a Jordan, darà il via ad una fuga che porrà entrambi di fronte ad una sconvolgente e terrificante realtà.
Un film molto meno prevedibile di quanto sembrava
© TM &2005 DreamWorks Productions, LLC
The Island ci trascina in un mondo dove una multinazionale biotecnologica, guidata dallo spietato Merrick (Sean Bean), garantisce vere e proprie banche organi ad una clientela esclusiva e ricchissima, ignara però della clonazione in atto. La fuga dei due protagonisti, lo vedrà reclutare il mercenario Laurent (Djimon Hounsou), per recuperare quei cloni, che se andassero in giro e magari, inavvertitamente, incontrassero le loro matrici originarie, darebbero via ad uno scandalo gigantesco. Il film si sposta a Los Angeles, e da questo momento diventa un adventure action, con un’estetica patinata, plasticata ma tutt’altro che sgradevole. Questo in virtù della fotografia di Mauro Fiore, di una colonna sonora di Steve Jablonsky che già qui, ben prima di Transformers, mostra chiaramente il suo talento. Michael Bay strizza l’occhio spesso e volentieri a George Lucas, quel piccolo capolavoro che fu L’uomo che fuggì dal futuro, ma c’è spazio anche per qualche affettuoso omaggio a Brazil e L’esercito delle 12 scimmie di Terry Gilliam, Dark City di Proyas. Ma, e questo è bene ricordarlo, The Island vorrebbe essere “solo” un blockbuster di intrattenimento. Le sequenze d’azione sono perfette grazie alla capacità da parte di Michael Bay di rendere Los Angeles, quei palazzi, strade, quella metallica una grande protagonista aggiunta. Inseguimenti, cadute, sparatorie, combattimenti, sono girati con la sua solita, esperta e irruenta mano.
Un fiasco che però non fermerà il duo Bay-Spielberg
Doug Hyun
Nel parlarci di una società classista, dove gli uomini diventano semplicemente numeri, nel porci di fronte al dilemma morale di una scienza che sfrutta l’uomo, The Island abbraccia una visione che, se da un lato è parzialmente derivativa rispetto a The Matrix, dall’altro però è lungi dall’essere così teorico, così irreale, anzi pare di guardare la nostra realtà vent’anni dopo. Interessante soprattutto è il modo in cui, e qui qualche collegamento con Isaac Asimov si può trovare, The Island ci parli del concetto di diverso dalla norma come possibile anomalia che guida alla distruzione di un sistema, che in quanto umano non è invincibile. Con un bel po’ di anticipo rispetto all’era degli hi-tech guru, il film di Bay punta il dito contro il mito dell’industriale-inventore-artista, la sua supposta amnistia morale basata sul successo, sul potere. Certo, non che per questo poi il film vada così in profondità, verso confini filosofici o analitici così innovativi. Ewan McGregor e Scarlett Johansson sono perfetti per la parte, un po’ penalizzata forse lei, all’epoca nel pieno del suo periodo da bambolona, molto più bravo il fu Obi-Wan Kenobi, nel tratteggiare un ribelle ma non un superuomo. The Island sarà purtroppo un fiasco commerciale, a sentire Spielberg, all’epoca, tutto questo sarà causato da una pessima campagna marketing. Tuttavia la quantità enorme di product placement (per il quale la Dreamworks sarà profondamente criticata) e il mercato home video, renderanno comunque il film fonte di profitto.
L’eredità di uno scifi che meritava maggior successo
© TM &2005 DreamWorks Productions, LLC
Andrà meno bene con la causa per plagio, si troveranno qualcosa come 105 punti in comune con Parts: The Clonus Horror di Robert S. Fiveson del 1979. Giusto per ricordarci naturalmente che Hollywood, un po’ come quella multinazionale, prende, usa, taglia, cuce a proprio vantaggio. La causa legale verrà poi risolta in separata sede con una cifra mai pubblicata. Ad ogni modo, The Island il suo dovere di film da sala la fa sicuramente bene, è uno di quei film che si rivolgono a un pubblico molto ampio e in quanto tale, devono ovviamente smussare un po’ gli angoli, ed essere accessibili. Siamo distanti ovviamente da The Edge of Tomorrow, Interstellar, The Martian o simili. Tuttavia, The Island assieme a Io, Robot di Proyas e The Day After Tomorrow di Emmerich, rappresenta l’apice di un periodo interessante della fantascienza del XXI secolo, in cui si cercò di rendere pop il genere. A vent’anni di distanza, il film di Michael Bay rimane un capitolo importante della cinematografia di questo regista, che comincia ad affilare le armi per donarci poi quella saga di Transformers, che fino all’avvento del MCU sarà il vero fenomeno del grande schermo. Bay forse rimarrà anche prigioniero proprio del suo stile titanico e videoludico, cosa che invece in The Island non successe, a dirla tutta è uno dei suoi film più gradevoli e soprattutto equilibrati, con un’ironia sottile e una serie di colpi di scena nel finale assolutamente gradevolissimi.
Sono nato a Padova nel 1985, da sempre grande appassionato di sport, cinema e arte, dopo dodici anni come allenatore e scoutman professionista nel mondo della pallavolo, ho deciso di intraprendere la carriera di giornalista.
Dal 2016 ho cominciato a collaborare con diverse riviste cartacee e on-line, in qualità di critico ed inviato presso Festival come quello di Venezia, di Roma e quello di Fantascienza di Trieste.
Ho pubblicato con Viola Editrice “Il cinema al tempo del terrore”, analisi sul cinema post-11 settembre. Per Esquire mi occupo di cinema, televisione e di sport, sono in particolare grande appassionato di calcio, boxe, pallavolo e tennis.
In virtù di tale passione curo anche su Facebook una pagina di approfondimento personale, intitolata L’Attimo Vincente.
Credo nel peso delle parole, nell’ironia, nell’essere sempre fedeli alla propria opinione quando si scrive e nel non pensare mai di essere infallibili.