Quante divisioni ha il papa in Nigeria? Nessuna, e purtroppo può fare poco per proteggere i cristiani dalle persecuzioni jihadiste. Se lo fa Donald Trump, è per forza sbagliato? Consiglio di concludere il 2025 con uno sforzo di lucidità, evitando il riflesso pavloviano per cui il Grande Satana della Casa Bianca ha sempre torto, a priori. 

Pertanto provo a situare i raid Usa in Nigeria in un contesto storico locale: in Nigeria infatti queste azioni militari contro le milizie jihadiste non sono circondate dai sospetti e dalle accuse che scattano automaticamente in Europa. 



















































«Quante divisioni ha il Papa?» è una celebre frase attribuita al dittatore sovietico Stalin durante la seconda guerra mondiale. L’avrebbe detta, in tono sprezzante, a un collaboratore che gli segnalava una presa di posizione della Santa Sede durante il conflitto. Domanda retorica, quella di Stalin trasudava indifferenza verso una potenza «solo» spirituale come il Vaticano, che non poteva dispiegare colonne blindate in Europa. Ironia della sorte, proprio un papa (il polacco Wojtyla) avrebbe avuto un ruolo non marginale nell’accelerare il crollo finale dell’Unione sovietica, meno di quarant’anni dopo la morte di Stalin. Guai a sottovalutare il «soft power», il potere delle idee.

Ma il soft power da solo non serve a proteggere i cristiani della Nigeria dalla violenza jihadista di Boko Haram. L’intervento delle armi americane è benvenuto, almeno per una parte di quei cristiani, come leggerete qui sotto nell’analisi di un autorevole esperto nigeriano.

Intanto ecco alcuni elementi per situare l’azione di Trump. 
1) Non è certo una novità che gli Stati Uniti intervengano militarmente contro le forze jihadiste, in Africa come in Medio Oriente: i raid armati erano ben più frequenti ai tempi di Barack Obama, contro tutta la galassia dello Stato islamico. Trump eredita una presenza militare americana in Africa mirata in particolare contro i focolai di jihad, che risale addirittura ai tempi di Bill Clinton, perché alcuni attacchi di Al Qaeda, sotto la regìa di Osama Bin Laden, erano avvenuti proprio in Africa e ancor prima dell’11 settembre 2001: nel 1998 con attentati multipli contro le ambasciate Usa in Kenya e Tanzania. 
2) «Difendere i cristiani» è diventata una frase tabù in Europa, o per lo meno ci sono ampie correnti ideologiche che hanno deciso di abbandonarla nelle mani dell’estrema destra. Non così in America dove l’elettorato cristiano che vota repubblicano non è necessariamente di estrema destra, anzi è per tradizione moderato, ma osserva con inquietudine l’alleanza fra la sinistra democratica e i movimenti ProPal apertamente simpatizzanti con forze jihadiste come Hamas. Per alcuni settori della sinistra radicale l’accusa di «islamofobia» è infamante mentre non c’è nulla di male a professare ostilità contro il cristianesimo. 
3) In Italia, Francia, Spagna, Belgio, Austria, insomma nell’Europa cattolica, è possibile che non scatti la solidarietà con i cristiani della Nigeria perché a maggioranza non sono seguaci della Santa Romana Chiesa bensì evangelici pentecostali, aderenti a congregazioni in forte concorrenza con il cattolicesimo. In America gli evangelici fin dai tempi di George W. Bush sono una delle constituency elettorali del partito repubblicano.

Per avere una reazione nigeriana, eccovi un autore di riferimento: Ebenezer Obadare è uno studioso molto autorevole, originario di quel paese, che ora segue le vicende africane da Washington per conto del Council on Foreign Relations. Di seguito, una sua analisi. Come vedrete è equilibrata, equidistante:
«Molti nigeriani, soprattutto cristiani, accolgono con favore l’attenzione di Trump alla lunga scia di violenze jihadiste. Allo stesso tempo, però, temono gli effetti indesiderati di un’azione militare unilaterale degli Stati Uniti all’interno del paese. La popolazione della Nigeria, pari a circa 220 milioni di persone, è divisa in modo approssimativamente uguale tra cristiani e musulmani. A causa dell’elevato livello di insicurezza ben documentato nel paese – che include, ma non si limita a, rapine a mano armata, sequestri di persona, banditismo, violenze che coinvolgono le forze dell’ordine e altre forme di violenza diffusa – i nigeriani di ogni religione ed etnia sono esposti quotidianamente alla violenza. Detto questo, la violenza nelle regioni settentrionali e nella Middle Belt del paese ha una genealogia specifica, nella misura in cui è riconducibile alle attività del gruppo insurrezionale islamista Boko Haram (che in arabo significa “l’istruzione occidentale è proibita”), attivo in quella parte del paese con una sanguinosa campagna da quasi due decenni. L’obiettivo dichiarato di Boko Haram è abolire lo Stato nigeriano e sostituirlo con una teocrazia basata sulla Sharia. Per questa ragione, il gruppo è stato indiscriminato nella sua violenza, prendendo di mira musulmani e cristiani, moschee e chiese, oltre alle infrastrutture governative. Una stima del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo indica che tra il 2009 e il 2021 il numero delle persone uccise da Boko Haram ammonta a 350.000. Nello stesso periodo, quasi quattro milioni di persone sono state costrette a lasciare le proprie case. Che cosa ha fatto il governo nigeriano per affrontare il problema? Dallo scoppio dell’insurrezione nel 2009, le amministrazioni che si sono succedute, compresa quella dell’attuale presidente Bola Tinubu, hanno promesso di sradicarla, con scarsi risultati. A settembre, dopo un attacco di Boko Haram che ha causato almeno sessanta morti nello Stato nordorientale di Borno, Tinubu ha ordinato una profonda revisione delle operazioni militari. Durante il suo mandato, il presidente Goodluck Jonathan (2010–2015) aveva brevemente preso in considerazione la possibilità di concedere un’amnistia agli insorti di Boko Haram come mezzo per indurli a deporre le armi. Sebbene l’amministrazione Tinubu sembri aver ottenuto un relativo successo nel contenere l’insicurezza in generale, come dimostrato dalla significativa diminuzione dei sequestri di persona nel 2024, Amnesty International stima comunque che il numero di nigeriani uccisi in varie forme di scontri violenti dal 2023, anno dell’insediamento di Tinubu, superi le diecimila unità. Sotto l’Amministrazione Trump il Dipartimento di Stato Usa ha designato la Nigeria come Country of Particular Concern (CPC), “paese che solleva una preoccupazione speciale”. La designazione della Nigeria come CPC arriva dopo mesi di intensa attività di lobbying da parte di vari gruppi di pressione e individui influenti, in particolare il senatore Ted Cruz (repubblicano del Texas). La qualifica di CPC è riservata ai paesi giudicati responsabili di aver commesso o tollerato “violazioni particolarmente gravi della libertà religiosa”. La designazione ha inviato un chiaro segnale della determinazione del governo degli Stati Uniti a imporre sanzioni adeguate ai funzionari nigeriani coinvolti, per quella che l’Amministrazione Trump considera una campagna orchestrata contro i cristiani nel paese. In particolare, Washington sembra intenzionata a punire i governatori di dodici Stati del Nord della Nigeria in cui è in vigore il codice legale islamico della Sharia. Pur essendo per definizione una mossa ostile, in questo caso specifico la designazione CPC può rivelarsi un’arma diplomatica efficace se contribuirà ad aumentare la pressione sulla classe politica affinché prenda Boko Haram sul serio e adotti misure capaci di degradarne radicalmente la capacità operativa.

Che cosa pensa l’opinione pubblica nigeriana della designazione? La maggior parte dei nigeriani accoglie con favore l’attenzione internazionale sulle attività di Boko Haram; i gruppi cristiani in particolare considerano questa attenzione doverosa da tempo. Allo stesso tempo, una parte significativa dell’opinione pubblica teme che la retorica di Trump, in particolare la minaccia di un’azione unilaterale contro il paese, possa risultare controproducente e distogliere l’attenzione dal problema specifico della violenza jihadista nel Nord, dalle ricorrenti violenze legate alle accuse di blasfemia, e dal problema più generale dell’insicurezza diffusa nel resto del paese. Considerato il clima politico in Nigeria, un’azione unilaterale degli Stati Uniti potrebbe indebolire l’amministrazione Tinubu e creare un pretesto per un intervento militare, che con ogni probabilità seminerebbe il caos in tutto il paese. Invece di agire da sola, l’America dovrebbe investire in una collaborazione operativa e di intelligence con le forze armate nigeriane, con l’obiettivo finale di sconfiggere il jihadismo, prima di tutto in Nigeria e poi nell’intera regione del Sahel». 

26 dicembre 2025, 19:09 – modifica il 26 dicembre 2025 | 19:30