La mappa della formazione universitaria della Campania non coincide più soltanto con i grandi poli urbani. Negli ultimi anni gli atenei hanno scelto di spostare il baricentro, di presidiare territori interni e contesti fragili, spesso raccontati solo attraverso le loro carenze.

Una scelta politica e culturale prima ancora che accademica. Portare l’Università dove non c’era, significa incidere sulle traiettorie di vita, offrire alternative concrete allo spopolamento, restituire centralità a luoghi rimasti a lungo ai margini. Caivano, Grottaminarda, Sant’Angelo dei Lombardi, Castel Volturno, Eboli entrano così in una nuova geografia della conoscenza. Non più sedi occasionali, ma spazi stabili di formazione e ricerca. Luoghi che in questo modo possono arginare lo spopolamento e creare nuove occasioni di futuro.

APPROFONDIMENTI

I CORSI SANITARI

L’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli ha costruito una rete diffusa di corsi sanitari che attraversa l’Irpinia e l’area nord di Napoli. Rispondono a un fabbisogno reale, formando professionisti destinati a operare negli stessi territori in cui studiano. La formazione non è più quindi una parentesi che costringe alla partenza, ma un investimento che può tradursi in permanenza. Anzi, attira perfino matricole da fuori regione, come capitato per la triennale in Infermieristica a Grottaminarda (60 posti all’anno) dove sono arrivati da Sicilia, Puglia e Calabria. E da altri comuni campani, come per Logopedia (30 posti) nello stesso comune irpino, Fisioterapia (38 posti) a Sant’Angelo dei Lombardi. A Castel Volturno la presenza universitaria assume un valore ancora più simbolico. Qui ha sede il corso interateneo di Medicina e Chirurgia, ospitato al Pineta Grande Hospital (120 posti). La didattica si intreccia con la pratica clinica, mentre un’area a lungo associata a criticità ambientali e sociali diventa luogo di alta formazione medica. È un cambio di sguardo che incide anche sul rapporto tra comunità e istituzioni.

Grottaminarda ospita anche corsi di area biologica e biotecnologica dell’Università del Sannio, mentre Benevento accoglie Medicina e Chirurgia a indirizzo tecnologico, realizzata sempre da UniSannio ma insieme all’Università Federico II (77 posti). Un percorso che integra saperi clinici e competenze ingegneristiche, formando medici capaci di muoversi tra cura e tecnologia. Anche qui la scelta della sede non è casuale. Portare un corso di medicina in un’area interna significa rafforzare l’intero sistema sanitario locale.

LA RIQUALIFICAZIONE

Caivano rappresenta un altro laboratorio significativo. Sia con i 30 posti di Infermieristica della Vanvitelli che con l’Università Parthenope che qui ha attivato il corso di Scienze Motorie (180 posti), con un’offerta formativa orientata all’inclusione, ai servizi alla persona, allo sport come strumento educativo. La Federico II affianca questo percorso con il progetto di rigenerazione dell’ex macello, destinato a ospitare laboratori, corsi di restauro e attività legate ai beni culturali. L’università entra così nel tessuto urbano, riattiva spazi dismessi, crea presìdi di legalità e conoscenza in un’area segnata da forti disuguaglianze.

IL VINO

Per le aree interne dell’Irpinia, la strategia è diversa ma altrettanto mirata. La Federico II ha infatti inaugurato il Polo Enologico Abellinum: gli studenti possono ora completare l’intero ciclo di studi, dalla laurea triennale in Viticoltura ed Enologia (40 posti) alla laurea magistrale in Scienze Enologiche (20 posti) fino al dottorato, in un’unica sede specializzata. Un’opportunità unica nel mezzogiorno ma anche una scelta che valorizza una vocazione produttiva storica, mettendo in relazione ricerca, imprese vitivinicole e mercati internazionali. La formazione dialoga con il territorio, ne interpreta le specificità, ne rafforza la competitività senza snaturarne l’identità.

LA CULTURA

Eboli completa questo mosaico. Da un lato il corso magistrale in Precision Livestock Farming, che coniuga zootecnia, sensoristica e intelligenza artificiale in un’area agricola strategica, tutto in inglese e aperta a 10 italiani e 15 studenti stranieri. Dall’altro il nuovo Centro Studi e di Alta Formazione dell’Università l’Orientale, dedicato ad archeologia, cultura ambientale e conservazione dei beni culturali. Un campus aperto, immerso nel paesaggio del Sele, pensato come luogo di studio ma anche di incontro, residenza, produzione culturale.

Questi interventi non cancellano le fragilità dei territori interni e marginali, ma ne modificano fortemente il racconto. Introducono flussi quotidiani di studenti e docenti, generano domanda di servizi, rafforzano il senso di appartenenza. Soprattutto, offrono ai giovani una possibilità concreta di scelta. Restare non come ripiego, ma come progetto. La scommessa è tutta qui. Fare dell’università uno strumento di riequilibrio territoriale, capace di tenere insieme formazione, sviluppo e coesione sociale. In Campania questa strada è stata imboccata. Ora la sfida è renderla strutturale, continuativa, condivisa. I territori hanno aperto le porte. L’università ha deciso di attraversarle.