di
Marta Serafini

Mentre il leader di Kiev vola in Florida, restano ostacoli. Soprattutto sul destino dell’impianto più grande d’Europa e sui confini

«Pace, se lo dici e lo ripeti, magari poi si avvera». Era una delle frasi che Mario Rigoni Stern più amava ripetere. Da quel ritorno a casa nel ghiaccio e nel fango dalla Russia raccontato ne Il sergente nella neve. Avanti veloce di 82 anni, a guardare i volti di Denis e Dimitry, due soldati ucraini, rimasti in postazione a Kostjantynivka per 140 giorni di fila, filmati dai media ucraini mentre chiamano le loro famiglie, viene da pensare che, nonostante progresso e scienza, la pace resti un’utopia. Per i pessimisti quello che si sta per chiudere è l’anno peggiore per l’Ucraina da quando è iniziata l’invasione russa nel 2022 e il 2026 potrebbe essere anche peggiore. Ma negli ambienti diplomatici europei, pur restando grandi le preoccupazioni, c’è chi parla di passi in avanti diplomatici importanti.

Ucraina, Zelensky da Trump: tutti i nodi che frenano la pace

Dal ghiaccio del campo al caldo della Florida. Nell’attesa del nuovo faccia a faccia tra Zelensky e Trump domani a Mar-a-Lago, i nodi da sciogliere sono ancora stretti. La vigilia di Natale, il presidente ucraino ha svelato una nuova bozza di piano. Dei 20 punti, i più critici sono il 12 e il 14. Una delle questioni più complesse riguarda la centrale di Zaporizhzhia, il più grande impianto nucleare d’Europa. Situata nella città occupata di Enerhodar, la centrale produceva circa il 20% dell’elettricità ucraina prima che la Russia la occupasse. La Casa Bianca vorrebbe un impianto controllato da Ucraina, Stati Uniti e Russia e benefici economici condivisi. Kiev però teme che una gestione trilaterale legittimi l’occupazione russa. Mentre Mosca preme perché la controparte ucraina sia tagliata fuori. Inoltre, per essere messa in funzione, la centrale va prima messa in sicurezza con lavori di manutenzione che possono richiedere tempo e oneri. E non è chiaro a carico di quale parte dovrebbero essere. 



















































La disposizione 14 del piano ucraino affronta quella che Zelensky ha descritto come la questione più difficile: il futuro dei territori negli oblast di Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhia e Kherson. La posizione di base di Kiev, che Zelensky definisce «opzione A», è congelare il fronte. Mosca, al contrario, chiede all’Ucraina di ritirare le truppe dalle zone dell’oblast di Donetsk che le forze russe non sono riuscite a conquistare. I negoziatori statunitensi stanno valutando la creazione di zone demilitarizzate o zone economiche franche, formati che ritengono potrebbero soddisfare entrambe le parti. Ma Kiev avverte come qualsiasi decisione sui confini richiederebbe un passaggio parlamentare o perfino un referendum. Un gruppo di lavoro dovrebbe determinare i ridispiegamenti delle truppe e i parametri per eventuali zone economiche speciali, ma Kiev vincola i progressi dal ritiro russo dalle aree occupate. Zelensky ha indicato Enerhodar come possibile esperimento di zona franca, smilitarizzata e posta sotto amministrazione ucraina dopo il ritiro russo. Il piano stabilisce inoltre che, affinché l’accordo entri in vigore, devono essere effettuati prima i ridispiegamenti negli oblast di Dnipropetrovsk, Mykolaiv, Sumy e Kharkiv. Zelensky ha anche sottolineato che i referendum restano l’ultima opzione. Secondo il quotidiano russo Kommersant, Putin ha manifestato la sua disponibilità a cedere piccole aree di territorio occupate dalle forze russe nelle regioni di Kharkiv, e di Zaporizhzhia. Kiev d’altro canto sarebbe disposta a ritirare le «forze pesanti» dalle zone del Donbass che ancora controlla per creare una «zona economica libera» nella regione se Mosca facesse altrettanto. Ma mercoledì sera, durante un incontro a porte chiuse con l’élite imprenditoriale, Putin ha ribadito la sua richiesta che l’Ucraina ceda l’intero Donetsk. Parole che fanno tornare tutti al punto di partenza.
Le garanzie di sicurezza

Il destino dei territori è legato a doppio per Kiev alle garanzie di sicurezza. Secondo il piano di Zelensky, gli Stati Uniti, la Nato e gli Stati membri europei, in caso di un nuovo attacco russo, forniranno all’Ucraina un’assistenza militare equivalente all’Articolo 5. Così l’Ucraina non dovrebbe rinunciare formalmente all’adesione e non dovrebbe modificare la sua costituzione. Mosca, dal canto suo, ha annunciato di essere pronta a firmare un patto di non aggressione reciproca con i Paesi Nato. Ma per la portavoce del ministero degli Esteri Maria Zakharova «dovrà trattarsi di un atto giuridico internazionale a tutti gli effetti». E le parole pronunciate alla vigilia di Natale dal presidente ucraino, che si augurava la morte di Putin (pur senza citarlo) sollevano «dubbi sulla sua capacità di prendere decisioni adeguate per una risoluzione pacifica del conflitto». Tradotto, per la pace bisogna ancora aspettare.

26 dicembre 2025 ( modifica il 26 dicembre 2025 | 22:40)