di
Candida Morvillo
Il cantautore: «Negli Anni 90 Milano era un posto più inclusivo di oggi. Le Vibrazioni? Sembriamo un vecchio circolo di cucito… prima litighiamo ma poi saliamo sul palco e andiamo ancora forte»
Con quella canzone ispirata al suo primo amore di gioventù, Francesco Sarcina portò al successo la sua band. Era il 2003 e Dedicato a te e Le Vibrazioni esplodevano in tutte le radio. Ora, Sarcina torna al punto da cui tutto è partito e, su quell’amore, su Giulia morta nel maggio 2024, scrive un’intera opera rock: Immensamente Giulia. Debutto a Milano, al Teatro Nazionale, dal 14 al 22 marzo 2026: 28 brani inediti, musica dal vivo e una Milano di fine anni ’90 ricreata come paesaggio dell’anima.
In mezzo, ci sono stati anni splendenti e anni burrascosi. Successi come Vieni da me e Dov’è? E alcol, sesso, droghe. «La dipendenza dal sesso? Totale», raccontava sei anni fa al Corriere, «anche tre o quattro donne al giorno: nei club, fuori dai club, nei bagni, ovunque». Aveva già due figli, da due mamme diverse, usciva dalla fine del matrimonio con Clizia Incorvaia che accusava di averlo tradito col suo migliore amico e testimone di nozze, Riccardo Scamarcio. «Quando l’ho saputo, ho fermato la macchina, sono sceso e ho vomitato», diceva. Era una vita fa. Ora, si è risposato, ha una bambina di quattro anni. Sta bene come mai prima. E quest’opera rock è l’occasione per dare un senso a tutto ciò che è stato.
Chi era Giulia Tagliapietra e come nasceva quella canzone?
«Giulia era una ragazza di una purezza e bellezza incredibili. Era all’ultimo anno di liceo, io ero uno scapestrato che andava in giro a suonare, che voleva perdersi nel mondo per capire, fare esperienze. La storia è finita dopo due anni senza un vero motivo, perché sentivo “una chiamata”. Dicevo “mi chiamano”. E lei: “Ma chi ti chiama?”. Io: “Sento che sono chiamato”. È stata una cosa da pazzi, ma lei mi ha guardato coi suoi occhioni e mi ha dimostrato cosa significa amare. Mi ha detto: “Fra’, se andare ti fa felice, allora, è giusto così”. Mi ha amato lasciandomi libero, mi ha amato più di chi ti dice “ti amo”, ma ti vuole distruggere».
Era la musica a chiamarla?
«Io sapevo da sempre di voler fare il musicista, ma non sapevo come: scrivi le canzoni, ma poi da chi vai? A chi le porti? E la situazione era difficile: ero un diciannovenne fondamentalmente solo. Mia madre se n’era andata e io ero rimasto con mio padre, che era depressissimo e mi scaricava addosso tutto il suo nero. Stavamo in una casa di periferia a Gratosoglio, con sfratto imminente, senza elettricità, senza gas, senza acqua calda. Per due anni, tutto così. Mi salvava un istinto di sopravvivenza fortissimo: avevo mezza giornata down, ma il giorno dopo, tornavo a combattere».
Di che cosa vivevate?
«Papà non lavorava. Io facevo di tutto: volantinaggio, scaricare verdura di notte all’ortomercato. Poi, prendevo la chitarra e andavo a suonare e mio padre si arrabbiava: “Dove vai?”. La svolta è arrivata grazie alla bassista con cui suonavo, Samina: mi ha iscritto alla Siae e mi ha consigliato di andare al sindacato, che col certificato della depressione di mio padre, ci ha aiutato ad avere una casa popolare. Era in una zonaccia, ma ci ho scritto un sacco di cose, tra cui Dedicato a te, dopo aver rivisto Giulia».
Perché quell’incontro la ispirò?
«Non la vedevo da due o tre anni. Nel frattempo, mi ero perso tra relazioni sbagliate e amici che mi prosciugavano l’anima, facevo le consegne casa per casa. A volte, erano quattro piani a piedi, carico di sacchetti… Altro che palestra. È così che rivedo Giulia: era centralinista di noi pony express. Mi vede e sgrana gli occhi: “Fra’, sei distrutto…”. Lei si era appassionata alle discipline olistiche e mi fa: “Ti tratto io, chiudi gli occhi, ti riconnetto con l’universo”. Giuro che mentre muoveva le mani su di me, ho sentito una sensazione potentissima. Il giorno dopo, stavo benissimo e ho avuto un impulso violento di scrivere Dedicato a te: una lettera di scuse e di gratitudine per la sua grandezza, la sua luce, la sua bontà».
Nel 2024, Giulia è morta dopo una lunga malattia. Eravate rimasti in contatto?
«Ci siamo sempre sentiti. Lei si occupava di tecniche come cromoterapia, shiatsu, reiki. Per un periodo, aveva lavorato in Borsa, ma non era la sua strada e l’ha mollata per seguire la sua ricerca. Era sposata, aveva due bimbi».
Si era mai chiesto «e se?»: se fossimo rimasti insieme? Se ci fossimo sposati?
«No, perché sapevo che lei doveva fare altro e io pure. Eravamo diversissimi, ma lei mi ha insegnato che amare non è trattenere, non è possedere. Questa società ci ha venduto l’amore come possesso, ma è l’opposto. Nel musical, mi dipingo peggio di quanto sia stato, per spiegare cosa fa l’egoismo a 19 anni, quando pensi solo a te e non vedi il dolore che provochi. Ma a volte, dall’altra parte, l’altro trova la sua strada, cresce, si realizza. La mia passione mi porta tra i demoni. Ci ritroviamo: lei risolta, io distrutto. Lei mi dà luce, io mi riconnetto a me stesso e, da lì, nasce la famosa canzone, che canto io sul palco».
Com’era la Milano di quegli anni ’90 che vedremo nel musical?
«Era più inclusiva. C’erano locali pieni, musica live ovunque, studenti, voglia di raccontarsi. Era costosa, sì, ma se lavoravi, riuscivi a vivere decentemente. Oggi, è una città inaccessibile soprattutto per i ragazzi e in
cui tutti stanno incollati al telefono e non escono a sentire, vedere, toccare».
Rispetto all’ultima, dolente, intervista su questo giornale, ha una moglie messicana, Nayra Garibosi, e una figlia, Yelaiah.
«In qualche modo, il grande spirito mi dato un’altra possibilità. Una sera, passo da un locale che avevo, una mescaleria sui Navigli. Nayra era lì fuori con un amico comune. È stato un colpo di fulmine: lui l’ho scansato e mi sono buttato su di lei come un’aquila».
Come si spiega quel colpo di fulmine?
«È stato fisico, sensoriale. Ho sentito un brivido, una brezza, e ho avuto una visione: dei piedi mulatti sulla spiaggia. Mi sono detto: “Ok, ecco la mia vita”. Oggi, so che prima o poi vivrò su una spiaggia. Ci siamo piaciuti subito. Lei è pilota di aerei, ha studiato, ha fatto la modella, ha girato il mondo. In pandemia, è venuta a vivere con me, nel 2024, ci siamo sposati e non ci siamo mai lasciati».
In passato, ha raccontato anni da «lupo della notte», di sesso «compulsivo, rabbioso» e che soffriva per l’abbandono di sua madre. Tutto questo è alle spalle?
«Decisamente sì. Mi sono riconciliato con mia madre, ho capito che aveva dolori e pressioni enormi e ha fatto scelte che oggi leggo diversamente. E credo che una relazione sana mi abbia rimesso in contatto con me stesso. Oggi, affronto i problemi in modo diretto. Prima, dovevo passare attraverso i demoni: ogni cosa scatenava abusi, eccessi, distruzione. La rabbia arriva ancora, ma ci parlo subito».
Come sono le conversazioni con la rabbia?
«Parlo con il lupo cattivo. Gli dico: “Oh, stupido, hai già fatto abbastanza danni. Vieni qua, ti faccio una carezza, fai parte di me, ti voglio bene. Vuoi mordere? Prendi la chitarra e sfogati lì”. E scrivo. Sto in studio anche 18 ore al giorno, è al piano di sopra. Ho appena chiuso un brano per i Pooh, per i loro 60 anni. Viene a suonare anche mio figlio Tobia. Ora, sta prendendo la patente e mi porta in giro. Gli dico: “Una volta, mi avresti accompagnato dal pusher”. Ha letto la mia autobiografia, Nel mezzo. Mi ha detto: “Che storiaccia, papà, ma adesso capisco”. Dire la verità ai figli crea un rapporto più sano: con un esempio pessimo ma onesto come me, l’unico modo per “competere” è studiare, fare bene, non autodistruggersi. Infatti, Tobia ha la testa sulle spalle».
A proposito di pusher, ha ammesso l’abuso di cocaina e di essersi disintossicato. La dipendenza è alle spalle per sempre?
«A cinquant’anni, se ci ricadi dopo tutti i sacrifici che hai fatto, sei un pazzo».
Ha sempre detto che aveva bisogno della sofferenza per scrivere. Adesso, come nascono le canzoni?
«Adesso mi faccio attraversare dal dolore invece di farmi distruggere. Immensamente Giulia nasce da una sofferenza enorme… Dovevo incanalarla, lasciare qualcosa: non solo una canzone, ma una storia».
Per sua moglie ha scritto canzoni?
«Sì, ma lei si arrabbia perché non ne faccio mai di dolci, ma solo rock. In Ancora mia, nell’ultimo disco delle Vibrazioni, parlo di lei, dei nostri incontri. Altre non sono ancora uscite. Spesso scrivo in spagnolo: la mia vecchiaia la vedo in Messico, con la chitarra sulla playa. Sarò il vecchio cantante italiano che fa tacos e beve tequila.»
Ha denunciato la sua ex moglie Clizia Incorvaia per le foto di vostra figlia usate sui social. Non avete ancora trovato pace?
Il punto non è la “pace” tra noi: sono i bambini. Mettere le foto dei figli sui social è sbagliato, punto. Tutti lo abbiamo fatto quando non si sapeva quanto fosse pericoloso, ma ora lo sappiamo: ho amici in polizia che mi hanno raccontato cose agghiaccianti sull’uso delle immagini dei minori».
E con Riccardo Scamarcio si è chiarito?
«No. E non rimpiango nulla di quell’amicizia».
Con le Vibrazioni a che punto sono rapporti e progetti?
«Sembriamo un vecchio circolo di cucito… Litighiamo, ci punzecchiamo, ma saliamo sul palco e spacchiamo ancora forte. Vorremmo far uscire un inedito e il 10 settembre faremo un grande concerto al Carroponte di Sesto San Giovanni dedicato a Giulia. In sua memoria, con l’Ospedale San Raffaele di Milano, stiamo lavorando a un anno di sensibilizzazione sulla prevenzione contro il papillomavirus e sulle conseguenze che, se sottovalutate, possono diventare fatali».
Alla fine, che cos’è l’amore?
«Una parola enorme, che invece appiccichiamo a relazioni banalissime».
27 dicembre 2025 ( modifica il 27 dicembre 2025 | 07:27)
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