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«Quando gli altri festeggiano, tu lavori». È la frase che torna come un ritornello nella lunga conversazione tra Antonino Cannavacciuolo e Gianluca Gazzoli al podcast Passa dal BSMT. Una frase che riassume una vita intera e che lo chef eredita dal padre, cuoco e professore all’alberghiero, il primo vero antagonista del suo percorso. «Quando gli dissi che volevo fare il cuoco mi rispose: “Fai qualsiasi cosa, ma non il cuoco”». Non era un divieto superficiale, ma una profezia: niente feste, niente weekend, niente calendario rosso. «Mi disse di colorare di nero anche le giornate rosse».

Quel rifiuto diventa benzina. Cannavacciuolo va comunque all’alberghiero, lavora mentre studia, regge una pressione continua. Il padre prova persino a convincere i professori a fargli cambiare idea. Il riconoscimento arriverà solo indirettamente: «Quando gli portai il primo grande articolo, lo lesse e disse: “Se è vero, ci deve essere un seguito”». Ancora oggi, racconta lo chef, i complimenti sono centellinati. «Mi dice solo “buono”. Poi a mia sorella dice che era buonissimo». Ma non rinnega nulla: «Quella durezza è stata la mia forza».

Villa Crespi

Villa Crespi nasce così, senza un piano rassicurante. Lui e Cinzia Primatesta hanno poco più di vent’anni quando accettano una gestione rischiosa, fatta di affitti anticipati, inverni senza clienti e conti sempre in bilico. «A gennaio giocavamo alle tre carte, ad agosto lavoravamo bene». Cannavacciuolo fa tutto: cuoco, imprenditore, fornitore.

Va dai contadini di notte, risparmia su ogni ingrediente, reinveste tutto nella brigata. «Ai ragazzi dicevo: se lavoriamo bene, l’anno prossimo compriamo il macchinario migliore».

Le guide arrivano come una scossa elettrica. Prima il Gambero Rosso, poi la Michelin. Alla notizia delle Tre Forchette, ammette, «ho attaccato il telefono». Ma una cosa non cambia mai: «Non ho mai pensato di non farcela».

Cinzia è parte strutturale del racconto. «Se mi fermo io tira lei, se si ferma lei tiro io». Lavoro e vita scorrono insieme, senza separazioni nette.

MasterChef

Anche la televisione, quando arriva MasterChef (inizialmente rifiutato «volevo pensare alla terza stella»), viene accettata solo a una condizione: non togliere spazio alla cucina. «Giriamo quando il ristorante è chiuso». E così fa ancora oggi con “Cucine da Incubo”. «Giriamo da gennaio a marzo, non tolgo tempo a Villa Crespi». E la stessa dedizione c’è quando gira MasterChef. «Finisco di registrare e torno in cucina».

«Come mi hanno scelto? Gli autori guardano le foto dei cuochi e scelgono. So che un giornalista gli ha detto: “Lui è quello giusto per voi”», ha detto.

Il peso

Sulla sua fisicità dice: «Quando lavoravo al Quisisana ero un metro e novanta per 79 chili, ero magrissimo. Facevo sport, giocavo a calcio. A Villa Crespi ho dato la vita. Mangiavo di notte, poi c’era lo stress. In dieci anni mi sono gonfiato. Andavo a cena fuori e il giorno dopo dovevo fare un buco alla cintura. Assimilavo tutto, avevo orari sballati. Mangiavo a qualsiasi ora».


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