Seguiteci in questa riflessione riguardo l’idle RPG di Farlight Games AFK Journey, esempio vivente delle tendenze videoludiche più controverse del nostro tempo.

È qualche settimana, ormai, che AFK Journey, un titolo mobile relativamente nuovo, uscito durante la prima metà del 2024 (e del quale abbiamo già ampiamente parlato nella nostra recensione), impegna quei pochi momenti liberi che mi sono rimasti a disposizione durante le mie giornate. Non è un videogioco impegnativo. Di fatto, si gioca da solo, figlio di quelle dinamiche “idle” che dominano le classifiche degli store digitali sui nostri smartphone. Nonostante la struttura, il gioco di Farlight Games ha almeno dalla sua uno stile gradevole che, se si è facilmente impressionabili dalle grafiche audaci e dinamiche (colpevole), è capace di catturare in un batter d’occhio. Aggiungeteci una partner con cui condividere l’esperienza e il gioco è fatto.
In quella che vedo come una prigione ricreativa, mi sono ritrovato ad apprezzare, mio malgrado, la confezione sfarzosa che avvolge questo pacco perlopiù vuoto; una matrioska senza fondo che è divertente da aprire, ma il cui contenuto si fa sempre più insignificante e sfuggente. Mi rendo conto che tutto ciò che ottengo ha poco o nulla a che fare con la mia competenza videoludica. Sono azioni ripetute all’infinito, che non necessitano neanche del mio comando per attivarle visto che basta premere un tasto per farle svolgere in automatico.
Quando mi trovo davanti a una scelta, quella se interagire o meno con il gioco, solitamente scelgo la prima. Però, ed è qui che entriamo nel vivo del discorso, il gioco stesso ha recentemente pensato di fare tutto al posto mio, surclassando la mia curva di progressione senza darmi la possibilità di scegliere come e in che misura procedere, rendendo ai miei occhi sempre più chiaro quanto rappresenti uno specchio del nostro tempo.
Cambio di piani
Inizio con il confessare che avevo solo sentito nominare il mondo di AFK prima di iniziare a giocare a Journey, quindi tutto quello che so l’ho scoperto pian piano, evitando il più possibile di andare online per cercare di raccapezzarmi con la quantità esorbitante di contenuti che costellano quest’esperienza.

Lucca, colosso non patrono dell’omonima città
Ho testato diversi gacha in passato e sono stato un giocatore di Genshin Impact per qualche stagione, di conseguenza conosco le strategie attuate per portare giocatori al proprio mulino da parte di queste produzioni che fioriscono a ritmi improbabili, però nulla mi poteva preparare alla quantità di nozioni, eventi, microeventi, stagioni, mezze stagioni, premi, pacchetti, forzieri e tutto ciò che sommerge il gioco con un affollamento di contenuti stordente, ma che, bene o male, con il tempo, si riesce a navigare.
Capita finalmente la routine da seguire, ecco che arriva la bordata definitiva: la nuova stagione, Spine della Devozione. Un bel mattino apro il gioco e trovo una schermata che mi annuncia che il mio server ha raggiunto la soglia di giorni minima per entrare a far parte della stagione. Ciò comporta che tutti i giocatori presenti su di esso vengano immediatamente avanzati al livello massimo di Risonanza (uno dei mille gradi che compongono il titolo, questo legato ai personaggi e all’equipaggiamento).
Nessuno rimane indietro
Così, da un giorno all’altro, tutta la mia progressione, puff, annichilita da un evento stagionale, dopo il quale ancora non mi è ben chiaro cosa accadrà, se il livello tornerà quello iniziale, se si convertirà in altro modo.

Lenya, felina dalle reminiscenze circensi
Il gioco cerca di spiegarlo, ma il papiro redatto con cura non è limpidissimo nelle sue intenzioni, il che costringe a perdersi nei forum alla ricerca di risposte che mi dovrebbe dare, a monte, il gioco in maniera chiara. Perché io, sì, posso anche andare a scavare nei meandri di internet o nelle centinaia di pagine di aggiornamento, ma dobbiamo centrare un attimo il punto di vista con quello del giocatore medio alle prese con il titolo.
Una svolta del genere, presentata da una schermata che non ti permette di fare altro se non cliccare “accetta” (non c’è modo di tirarsi indietro e continuare a progredire per conto proprio), lascia il giocatore di un prodotto dove non devi fare altro che guardare lo schermo e premere un paio di tasti per muoverti tra i menù e la mappa disorientato, per non dire infastidito nel momento in cui riceve avvisi su avvisi che lo incitano a saltare tutta la storia principale per andare direttamente alla narrazione della stagione, sottolineando ancora di più quanto in quella componente drammaturgica, alla fine, non credano neanche i loro autori.

Reinier, Ipogeo ossessionato dalla simmetria
Questo, perlomeno, è ciò che ho provato io. Solo grazie a un secondo personaggio mi sono accorto che esisteva un conto alla rovescia per il lancio della stagione sul server, ma a ogni modo non sarei stato comunque preparato a venire lanciato alla pari di tutti i giocatori con uno schiocco di dita (a meno che non fossi stato un frequentatore assiduo dal giorno del lancio, probabilmente). Il che mi fa doppiamente riflettere, perché se a me questa cosa spazientisce, magari non sono il target di riferimento e, forse, il mercato mi ha già dato una risposta a riguardo.
Il bisogno
Un gioco come AFK Journey sintetizza perfettamente una delle principali necessità della società contemporanea: il bisogno. Sentiamo il bisogno di avere tutto e subito, senza versare una goccia di sudore. Giorno dopo giorno, questa sete insaziabile cresce sempre più, alimentata da prodotti su prodotti, scelte sconfinate, possibilità infinite di modi per appagare i nostri sensi.

Alsa, paladina del Clan Uru
Giochi come AFK, ma possiamo fare lo stesso discorso per gli “idle game” in generale o per la maggior parte delle strutture dei titoli online odierni, sono solo ulteriore benzina gettata sul fuoco impazzante.
Senza fare niente, senza pubblicità a interrompere la sua partita, senza spendere un soldo (a meno che non voglia essere competitivo), in Journey il giocatore ottiene laute ricompense, valute tutte differenti che servono in quello o quell’altro negozio dove comprare forzieri, personaggi, elementi cosmetici. L’inventario si riempie velocemente di materiali misteriosi, che non si capisce bene in che modo si debbano usare, però basta averli, rassicurante presenza.

Hodgkin, corsaro spettrale tra la vita e la morte
Ogni passo è un obiettivo da riscattare che fa progredire con una velocità senza pari; ogni angolo svoltato un avviso di un bundle da acquistare o di qualche nuova funzionalità sbloccata, per tenere impegnati quel paio di minuti in più che bastano a fare numero nei report trimestrali. I personaggi si sbloccano come se colti da un albero, tanto che si può addirittura scegliere quali si vuole (e non quali si preferisce) trovare all’interno del “gashapon”, sfaldando completamente la componente più allettante di tale meccanica: la sorpresa (però allo stesso tempo, va detto, limitando la spinta maniacale che può portare a investire non solo valuta di gioco, ma anche denaro reale, per trovare il beniamino sperato).
E la cosa che mi spaventa più di tutto ciò è che io stesso non riesco a farne a meno. La semplicità di approccio, la costante ricompensa per il minimo progresso, la consapevolezza che c’è sempre una spunta sulla linea della progressione da riscuotere mi spingono a continuare a investire tempo su qualcosa che, più che mai, sono consapevole non mi darà nulla in cambio se non un momentaneo appagamento di quella sete generazionale che mi tiene in catene.