di
Massimo Sideri
Per la prima volta dopo gli eroi di Apollo, la missione Artemide porterà quattro astronauti in volo verso il nostro satellite. È il primo passo verso un nuovo sbarco
L’uomo tornerà sulla Luna in questo 2026? Prima di tutto: se l’uomo ci tornerà, la donna ci andrà per la prima volta. Non sono in molti a ricordare quanti sono stati gli astronauti che con le missioni Apollo hanno camminato sulla superficie del nostro satellite a partire da quel «un piccolo passo per l’uomo, un grande passo per l’umanità», copyright dello stesso Neil Armstrong nel 1969: furono 12. Ma tutti uomini, appunto (negli anni Sessanta furono organizzate proteste pacifiche dalla comunità dei neri americani i cui cartelli sono passati alla storia: «L’uomo bianco va sulla Luna, mio figlio non può andare a scuola»). Non è un caso che questa nuova serie di missioni sia stata battezzata Artemide. Un veloce ripasso sui miti dell’antichità ricorda che Artemide era la sorella gemella di Apollo, figli di Zeus. Artemide peraltro nacque in una notte di plenilunio, la Luna piena. Tutto torna. È già stato scelto anche l’equipaggio che farà parte della missione Artemide II che potrebbe partire da aprile in poi: il comandante Reid Wiseman, il pilota Victor Glover e i mission specialist Christina Koch e Jeremy Hansen (i primi tre della Nasa, il quarto canadese). Dato che Artemide II è la prima missione con equipaggio che tornerà vicino alla Luna, cosa che non accadeva dalle missioni Apollo, Christina Koch sarà la prima donna della storia a volare verso il nostro satellite. Koch ha raccontato di essere cresciuta da bambina con il poster della famosa «alba della Terra»: si tratta della prima fotografia a colori della Terra presa dallo spazio nel 1968 durante la missione Apollo 8. L’immagine ha cambiato per sempre la nostra prospettiva e l’immaginario collettivo del nostro pianeta: fragile e non più al centro del nostro punto di vista dell’universo (lo sappiamo da Copernico ma è come se non lo sapessimo visto che continuiamo a pensarci e immaginarci centrali). Ad aprile Koch incontrerà il suo sogno da bambina.
Rotta a fionda gravitazionale
Qui si fermano — per ora — le aspettative di vedere qualcuno passeggiare a breve sulla sua superficie: l’obiettivo della Artemide II è completare un giro della parte più lontana della Luna e con una traiettoria a fionda gravitazionale (la stessa che viene usata nel film «The Martian» con Matt Damon) tornare sulla Terra anche in assenza di carburante. Come accadde con le missioni Apollo abbiamo ancora bisogno di imparare e risolvere problemi per poter arrivare al vero obiettivo di Artemide: non solo tornare sulla Luna ma iniziare a costruirvi una base stabile come quelle costruite al Polo Sud, in Antartide, l’ambiente più ostile che possiamo trovare sulla Terra. C’è difatti un’altra frase meno nota sempre di Armstrong che rappresenta bene il dilemma da sciogliere: «Dobbiamo sbagliare qui sulla Terra per non sbagliare una volta che siamo lì sopra». Un disastro è senza ritorno. Oggi lo abbiamo dimenticato perché come sempre la storia è scritta dalle vittorie: ma la risoluzione tecnica che permise la conquista della Luna nel 1969 non fu affatto scontata. Molte cose avrebbero potuto andare storte ma c’era stato il lancio del cuore oltre l’ostacolo da parte di John Fitzgerald Kennedy alla Rice University nel 1962: «Perché andiamo sulla Luna?Andiamo sulla Luna e facciamo le altre cose non perché sia facile, ma perché è difficile». Si veniva dai successi dell’Urss, a partire dal primo uomo in orbita intorno alla Terra (Jurij Gagarin) e al primo satellite artificiale nello spazio, lo Sputnik, che negli Usa creò anche l’ansia di essere superati dal punto di vista tecnologico alimentando una serie di politiche educative virtuose (effetto Sputnik). D’altra parte se la Nasa al tempo aveva un computer che faceva 24 mila operazioni con virgola mobile al secondo, oggi abbiamo superato l’exascale (un miliardo di miliardi di operazioni al secondo). Tutto più facile dunque? No, perché quando ci confrontiamo con i viaggi reali e non con quelli digitali dobbiamo sottostare ai limiti delle leggi della termodinamica. La scienza non è un videogame.
La corsa tra Stati Uniti e Cina
Il dado comunque è tratto: il presidente Usa Donald Trump ha riportato il focus delle politiche spaziali da Marte (per ora fuori dalla portata tecnologica delle nostre capacità, se vogliamo tornare vivi) al ritorno sulla Luna, entro il 2028. Una data che non verrà rispettata ma che ha un preciso obiettivo propagandistico: anticipare i cinesi che hanno annunciato un viaggio (improbabile) nel 2030.
Una base lunare richiede molte sfide: costruire con la regolite, il terreno lunare. Estrarre ossigeno e idrogeno dal ghiaccio che è stato trovato nel Polo Sud (al buio), dentro il cratere Shackleton (il comandante che salvò il proprio equipaggio disperso per quasi tre anni con la nave Endurance sui ghiacci dell’Antartide porta sempre ispirazione: siamo esploratori). L’idrogeno potrebbe essere usato come carburante. Tra le persone che stanno risolvendo il rebus c’è anche una ricercatrice italiana del Mit di Boston, la space architect Valentina Sumini che ha esposto il concetto di Moon Village alla Biennale di Venezia. Il villaggio servirà come campo-base per raggiungere Marte. E pensare che probabilmente la Luna è un pezzo del mantello terrestre staccatosi oltre 4 miliardi di anni fa per l’impatto con un corpo alieno chiamato Theia. Eppure, guardandola, siamo sempre come lettori bambini con un libro in mano di Jules Verne. Per fortuna.
28 dicembre 2025
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