di
Paolo Valentino

La telefonata tra il leader russo e il presidente Usa e l’inflessibilità di Mosca

Dove batta il cuore di Donald Trump sulla vicenda ucraina è chiaro oltre ogni ragionevole dubbio. Alla vigilia del suo incontro con Volodymyr Zelensky per discutere la versione riveduta e corretta del piano di pace, il capo della Casa Bianca ha fatto sapere di aver avuto «una buona e produttiva telefonata con il presidente della Russia Putin». E subito Kirill Dmitriev, fiduciario del Cremlino nel negoziato in corso, si è precipitato sui social per strombazzare entusiasta l’annuncio trumpiano. 

Poche ore prima, l’inviato di Putin, detto l’Americano per aver studiato a Stanford e Harvard, aveva impostato il tono della giornata dal punto di vista di Mosca, ripubblicando su X la foto dei due leader ad Anchorage con il commento: «Giorno importante oggi sulla strada della pace. Grandi leader, dialogo onesto. I costruttori di pace e il mondo dovrebbero vincere. I guerrafondai e gli imbroglioni dovrebbero pentirsi». 



















































Del colloquio telefonico ha dato la lettura russa il consigliere diplomatico di Putin, Juri Ushakov, secondo il quale la cosa più importante è che Putin e Trump si sono trovati del tutto d’accordo sul fatto che «un cessate il fuoco temporaneo, come proposto da ucraini ed europei, può solo condurre a un prolungamento del conflitto». 

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La fine delle ostilità, ha aggiunto il diplomatico, è possibile soltanto se Kiev prenderà una «decisione coraggiosa riguardo al Donbass», cioè accettare di cederlo per intero a Mosca, nonostante le truppe russe ne controllino attualmente soltanto una parte. Ushakov ha anche spiegato che Vladimir Putin ha accolto una proposta di parte americana di continuare il lavoro per la risoluzione della crisi in due gruppi separati, uno dedicato «ai vari aspetti della sicurezza», l’altro «alle questioni di natura economica». A questo proposito, nella telefonata Trump avrebbe detto che «occorre mettere fine alla guerra il più rapidamente possibile, perché questo aprirebbe prospettive di cooperazione impressionanti con l’Ucraina e la Russia».

Prima del colloquio con Trump, Putin era apparso in uniforme a un comando militare, dove ha rivendicato e salutato nuovi successi sul campo delle truppe russe. In un apparente riferimento all’incontro in Florida tra Trump e Zelensky, il presidente russo ha detto che gli americani stanno offrendo all’Ucraina «buone condizioni di base per assicurarne la sicurezza nel lungo termine della prospettiva storica», che comprende il ripristino «dei rapporti della Russia con l’economia ucraina». Se però Kiev non accettasse quelle condizioni, ha detto Putin riproponendo il suo mantra, la Russia raggiungerebbe i suoi obiettivi sul campo di battaglia. 

Ma ieri a Mosca hanno parlato un po’ tutti. Si è materializzato anche Sergeij Lavrov, invero piuttosto ai margini nel negoziato in corso. In una chilometrica intervista alla Tass, il ministro degli Esteri ha attaccato l’Europa e l’Unione europea, definendoli i veri guerrafondai del momento. «Dopo il cambio di amministrazione negli Stati Uniti, sono diventati il principale ostacolo alla pace», ha detto Lavrov, secondo il quale «gli europei ormai non nascondono più di preparare una guerra contro la Russia». Con toni minacciosi, il capo della diplomazia russa ha aggiunto che «non c’è motivo di temere che la Russia attacchi qualcuno», ma che, «se qualcuno dovesse prendere in considerazione l’idea di attaccarci, subirebbe una reazione devastante». Lavrov ha anche accusato Kiev di «eludere negoziati costruttivi». L’Ucraina, a suo dire, prova a ignorare le sconfitte sul terreno invece di prepararsi ai colloqui con gli Stati Uniti, «per un accordo stabile che risolva le cause all’origine del conflitto». Quest’ultima, ricordiamo, è la frase in codice usata da Putin e dai suoi uomini per significare la neutralità dell’Ucraina, il suo ridimensionamento sul piano militare, la cessione alla Russia del Donbass. Il regime ucraino, così Lavrov, «terrorizza i civili, prendendo di mira le infrastrutture del nostro Paese». 

Ci vuole in verità tanta faccia tosta a dire cose del genere, nel momento in cui la Russia bombarda giorno e notte la capitale ucraina e la regione intorno, causando decine di vittime tra la popolazione civile e mirando soprattutto a lasciare milioni di persone senza elettricità e riscaldamento. Ma, nel caso di Sergeij Lavrov, la menzogna è la sua specialità.  

29 dicembre 2025 ( modifica il 29 dicembre 2025 | 09:43)