Boom dei ritorni per gli azionisti dopo l’aumento della spesa per armamenti da parte dei governi. In crescita anche gli investimenti
Le aziende europee della difesa hanno pagato 5 miliardi di euro agli azionisti fra dividendi e buyback, una remunerazione che si attesta ai massimi da 10 anni grazie al boom della spesa dei governi per armamenti. Lo rivela un’analisi realizzata per il Financial Times da da Vertis Research che ha preso in esame gli otto maggiori produttori di armi del Continente: l’italiana Leonardo (che quest’anno ha raddoppiato la cedola), le tedesche Hensoldt e Rheinmetall, le francesi Thales e Dassault, la svedese Saab e le britanniche Bae Systems e Babcock.
Il boom degli ordini
La somma restituita agli azionisti è probabilmente destinata ad aumentare nel 2026 sulla scorta di ordini in grande aumento a causa della guerra in Ucraina e della conseguente corsa al riarmo dei Paesi europei. La crescita dei dividendi delle aziende della difesa, rileva però il quotidiano inglese, potrebbe creare qualche tensione con i loro committenti, ossia i governi. Negli Stati Uniti, per esempio, Trump ha invitato di recente i produttori di armi a investire più sulla capacità produttiva e sull’innovazione che su cedole e buyback. La stessa richiesta potrebbe arrivare dagli esecutivi europei che si stanno a affrettando a rafforzare i loro eserciti per far fronte a un’eventuale avanzata russa e alla contemporanea ritirata americana.
Il dibattito
La contemporanea corsa al riarmo e ai dividendi ripropone il dibattito riguardo all’opportunità di privatizzare l’industria della difesa. Da un lato, c’è chi sostiene che la quotazione in Borsa di produttori di armi favorisca l’efficienza e l’innovazione. Dall’altro, c’è chi ritiene che, al contrario, introduca incentivi indebiti all’aumento di ricavi e profitti in un ambito, quello della legittima difesa del territorio con la forza militare, che dovrebbe essere monopolio dei governi
29 dicembre 2025
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