L’indagine che ha portato all’arresto di nove presunti fiancheggiatori di Hamas, che avrebbero dirottato all’organizzazione terroristica gli aiuti italiani alla popolazione palestinese, merita la massima attenzione. Perché ha una grande rilevanza internazionale e getta una serie di interrogativi inquietanti sull’esistenza di una rete islamica in Europa. Tornando alle vicende di casa nostra, l’indagine genovese dovrebbe poi indurre chi a sinistra ha dato troppo ingenuamente credito a Mohammad Hannoun e soci a porsi qualche domanda al di là del principio di presunzione d’innocenza che riguarda tutti. E, nello stesso tempo, consigliare alla maggioranza di non scadere nella mera strumentalizzazione politica. Chi ha espresso la propria solidarietà agli abitanti di Gaza e criticato il governo Netanyahu non è, di conseguenza, sospettabile di diretta o indiretta complicità con Hamas. Ha sollevato qualche accesa critica, soprattutto da parte di esponenti del centrodestra (Maurizio Gasparri), la frase finale del comunicato stampa firmato dal procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo Giovanni Melillo e dal pubblico ministero genovese, Nicola Piacente. «Le indagini e i fatti attraverso esse emersi – hanno scritto – non possono in alcun modo togliere rilievo ai crimini commessi ai danni della popolazione palestinese successivamente al 7 ottobre 2023 nel corso delle operazioni militari intraprese dal Governo di Israele, per i quali si attende il giudizio da parte della Corte Penale Internazionale». Nell’articolo di Giovanni Bianconi, oggi sul Corriere, Melillo spiega le ragioni della propria scelta, peraltro apprezzata dal ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi. Non ha espresso un giudizio politico.
La riforma Cartabia ha ridotto la facoltà dei pm di parlare con la stampa delle loro inchieste per evitare la giustizia show
(colpa dei giornalisti) e tutelare meglio la presunzione di innocenza. In attuazione anche di una direttiva del Parlamento europeo. E ha avuto il paradossale effetto di costringere i magistrati a giustificare con l’interesse pubblico l’emanazione di un comunicato stampa. Li ha di fatto trasformati in giornalisti improvvisati o addirittura, come nel caso dell’indagine genovese, in storici ed esperti di geopolitica. Ci si chiede che cosa si dirà in altri casi per giustificare il cosiddetto interesse pubblico che peraltro sarà individuato dagli stessi magistrati che la nuova normativa avrebbe voluto rendere meno protagonisti e loquaci. Le insidie delle nuove norme erano state lucidamente previste da un articolo di Luigi Ferrarella sul Corriere del 26 novembre del 2021. Perché avere timore del lavoro corretto e responsabile dei giornalisti, impedendo loro anche di controllare la veridicità di notizie, o presunte tali, messe in giro da tanta e potente disinformazione organizzata?
29 dicembre 2025
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