di
Paolo Cuozzo

Così in un’intervista a Il Foglio il primo cittadino di Napoli, da molti indicato come il possibile “federatore” del centrosinistra. Ma lui: «Sono sindaco di Napoli, rispondo ai miei elettori. Sono un “provinciale”»

La sinistra può battere Giorgia Meloni alle prossime elezioni? «La partita è aperta, credo che Meloni si possa battere, ma serve una proposta concreta». Gaetano Manfredi, in una lunga intervista al Foglio, lancia un sasso enorme nello stagno del Partito democratico e il centrosinistra. Scuote il Pd, partito a cui, anche se non ne ha la tessera, fa riferimento (il fratello Massimiliano è appena stato eletto presidente del Consiglio regionale della Campania): sia a Napoli che nel Paese; partito che lo ha voluto sindaco del capoluogo campano e sostenuto con forza alla presidenza dell’Anci. Insieme al M5S, però, atteso che del governo Conte 2 fu ministro dell’Università e che Conte straveda per lui. Da tempo, come per la sindaca di Genova Silvia Salis, torna il nome di Manfredi sul tavolo della politica come possibile federatore di quello che fu il campo largo. Sarà perché il suo modello di campo largo ha vinto a Napoli, e ora in Regione Campania con Roberto Fico. Sarà per la sua amicizia con Romano Prodi e Paolo Gentiloni. Sarà perché all’Anci è stato eletto all’unanimità, anche con i voti del centrodestra, che da Roma su Napoli lo ha sempre sostenuto. Tanti, insomma, i motivi. Anche se lui, Manfredi, per ora dice no. Come Salis. 

Ma di sicuro, ha idee chiarissime su come sfidare Meloni «e batterla». Ma «il Pd non è ancora pronto, fa fatica. Non vedo – dice al Foglio il primo cittadino napoletano – una proposta riconoscibile che rappresenti un reale cambiamento. Serve una visione, un programma che va costruito, con pazienza, serve qualcosa che vada oltre la parola coalizione. Serve un fronte plurale». Chiacchierata che atterra sul “Modello Napoli”, che, sottolinea, «è riformismo radicale e lo abbiamo messo in campo già quattro anni fa».



















































Il problema, per ora e per molti nel centrosinistra, è come si sceglie il leader per battere Meloni? «Se la legge non cambierà, sarà il segretario del partito che prende più voti»; diversamente, se invece cambia la legge elettorale, «a quel punto bisogna convocare un tavolo di coalizione e si sceglierà il profilo migliore». Con primarie o senza? «Dipende». Dipende, per Manfredi, «dalla loro finalità», perché le primarie «sono utili solo se legittimano una figura su cui c’è larga convergenza, altrimenti finirebbero per introdurre nuove fratture nel nostro elettorato e dilaniare. Nel caso di Prodi, le primarie hanno garantito una mobilitazione e hanno unificato, ma se dividono esasperano conflitti e non servono. Non abbiamo bisogno di queste primarie», chiosa La ricetta del sindaco si sofferma sul Pd che «deve essere il perno ma la proposta deve essere chiara, limpida. Popolari e radicali. Sento – sono sempre parole di Manfredi – parlare troppo poco, a sinistra, di economia. Ripetiamo che dobbiamo rivolgerci ai giovani, ma siamo sicuri che li stiamo agganciando». 

E qui la conversazione tocca il punto nevralgico: chi sfiderà Meloni a sinistra. Schlein? «È giovane, ma anche Meloni era giovane. Si può dimostrare di essere adatti al ruolo, ma parlare adesso di ruoli, senza ancora il programma, a che serve?». Esclude quindi che Conte voglia sabotare la segretaria dem: «Conte non vuole sabotare anche perché abbiamo imparato che divisi si perde e c’è voglia di vincere, non si corre per perdere. Si può battere Meloni». Ma per farlo, serve un federatore del centrosinistra, con il nome di Manfredi stabilmente sul tavolo della discussione, ormai: «Sono sindaco di Napoli, rispondo ai miei elettori. Questo non significa che noi sindaci non daremo un contributo, tutt’altro. Ci siamo». Per Manfredi “tutti”, insomma, £devono entrare nella Tenda”, ricordando quella di Prodi. «Anzi, più ampia sarà e più forte si presenta il centrosinistra». 

Di personalità come Prodi e Gentiloni «abbiamo bisogno», ammette, il sindaco che si definisce «un provinciale» che crede nella forza della provincia, che il governo Meloni, con cui lavora da sindaco bene da tempo, «ha dato stabilità ai conti. Ma manca la spinta alla crescita». Al referendum sulla giustizia voterà no. E poi la politica estera, «che ha sempre diviso sia destra che sinistra». Nessuna paura, quindi, nell’immaginare Meloni al Quirinale: «I toni apocalittici non aiutano la sinistra. Abbiamo un grande presidente che è Mattarella. Chie prenderà il posto di Mattarella dovrà essere alla sua altezza. Sarà questa la sfida più grande». Il resto, per il sindaco di Napoli,  «è solo pregiudizio, come il pregiudizio sul Sud. Conta solo il lavoro: è il lavoro che ci racconta». Parole che smuovono le acque nel centrosinistra e nel Pd.


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29 dicembre 2025 ( modifica il 29 dicembre 2025 | 13:01)