Gli studi scientifici sono sempre più solidi: i cervello degli adolescenti non è attrezzato per gestire l’esposizione agli algoritmi dei social. Anche una sola ora al giorno su Instagram o TikTok porta a performance cognitive peggiori. Il divieto totale non serve, l’esempio (e le alternative sane) sì
Nelle scuole elementari di tutto il mondo c’è una linea di demarcazione invisibile, ma netta. Metà dei bambini ha già uno smartphone. L’altra metà no. I genitori che hanno scelto di aspettare sono consapevoli di combattere una battaglia sempre più difficile perché la pressione sociale è fortissima: un ragazzino senza telefono si sente escluso. Ma forse, proprio ora, la scienza sta dando ragione a questi genitori tenaci. Dieci anni fa non si conoscevano gli effetti negativi degli schermi sui cervelli in via di sviluppo. Gli smartphone sono arrivati così rapidamente che in pratica abbiamo condotto un un esperimento di massa sui nostri figli senza saperlo. Ma oggi c’è molta più conoscenza ed è possibile agire.
Ran Barzilay è professore di psichiatria all’Università della Pennsylvania e padre di tre figli. I primi due hanno ricevuto uno smartphone prima dei dodici anni. Il terzo, che ne ha nove, dovrà aspettare. Cosa è cambiato tra un figlio e l’altro? La risposta è semplice: i dati. Tra giugno e dicembre 2025, alcuni studi scientifici su larga scala hanno iniziato a mappare con precisione che cosa succede al cervello degli adolescenti esposti precocemente agli schermi. E i risultati convergono tutti nella stessa direzione: memoria più debole, attenzione ridotta, velocità di elaborazione più lenta, sonno compromesso. Non sono opinioni ma misurazioni condotte su un campione molto ampio che stanno cambiando il modo in cui genitori, medici e legislatori guardano agli smartphone. Il 10 dicembre l’Australia è diventato il primo Paese al mondo a vietare i social media ai minori di 16 anni. Venerdì scorso lo stato di New York ha approvato una legge che obbligherà i colossi tecnologici ad avvisare i minorenni con specifiche “etichette” dei rischi di ansia e depressione causati dall’abuso dei social.
Il primo telefono dopo i 13 anni
La ricerca di Barzilay, pubblicata su Pediatrics e basata sul progetto ABCD (Adolescent Brain and Cognitive Development) del National Institutes of Health, ha analizzato i dati di oltre 10.500 bambini americani. La scoperta più sorprendente? Chi riceve il telefono a dodici anni invece che a tredici mostra un rischio superiore del 60% di sviluppare disturbi del sonno e del 40% di diventare obeso.
Un singolo anno di differenza sulla carta sembra ridicolo, ma nel cervello in via di sviluppo può spostare traiettorie cognitive che poi diventano difficili da correggere. Il cervello degli adolescenti, infatti, lavora su tempistiche precise. Dodici mesi in una fase di sviluppo critica possono fare la differenza tra un percorso cognitivo sano e uno compromesso. Come dice Barzilay ai genitori che si rivolgono a lui: «Non è qualcosa che puoi ignorare». Le conclusioni ricalcano quelle di un altro studio internazionale pubblicato nel luglio scorso sul Journal of Human Development and Capabilities , che ha rilevato che ricevere uno smartphone prima dei 13 anni «è associato a peggiori risultati in termini di salute mentale nella giovane età adulta con l’aumento di pensieri suicidi, distacco dalla realtà, minore regolazione emotiva e diminuzione dell’autostima». L’ipotesi degli autori è che sotto i 13 anni la corteccia prefrontale, responsabile del controllo degli impulsi e del pensiero, non sia sufficientemente sviluppata per affrontare il bombardamento social mosso da algoritmi perversi.
I rischi dell’uso compulsivo: differenza tra social e videogiochi
Nel giugno 2025, la rivista Jama ha pubblicato uno studio con una distinzione: non è il tempo totale passato online, ma l’uso compulsivo ad aumentare il rischio di suicidio. I ragazzi che manifestano disagio quando sono separati dal loro smartphone e hanno difficoltà a ridurre il loro utilizzo hanno un rischio da due a tre volte superiore di ideare comportamenti suicidiari in futuro rispetto a chi utilizza i social in modo controllato. Il lavoro ha anche evidenziato differenze nel tipo di attività online con relativi rischi: mentre i bambini che abusano dei videogiochi manifestano problemi di salute mentale interiorizzati come ansia, depressione e ritiro sociale quelli che esagerano coi social tendono ad essere più aggressivi e trasgressivi.
L’attenzione perduta (anche con una sola ora di social al giorno)
Un’altra ricerca pubbicata su Jama ha esaminato l’uso dei social media e le prestazioni cognitive nei bambini dai 9 ai 13 anni dividendoli in tre gruppi in base all’uso dei social media: poco o niente, basso ma crescente, alto e crescente.
I ricercatori hanno misurato le performance cognitive usando test standardizzati: lettura ad alta voce, memoria di sequenze visive, vocabolario. I ragazzi nel gruppo «alto e crescente» mostravano cali misurabili in tutte le aree. Ma l’aspetto più allarmante è che anche i ragazzi con un’ora sola al giorno di social media mostravano performance peggiori rispetto a chi non li usava affatto.
«È come passare da un ottimo a un buono in una verifica» spiega al Washington Post Jason Nagata, autore principale e professore di Pediatria all’Università della California di San Francisco. «Pochi punti percentuali sul test, certo. Ma abbastanza da cambiare la traiettoria scolastica di un adolescente. E se moltiplichi queste differenze modeste per milioni di cervelli che passano tre, quattro, cinque ore al giorno su TikTok e Instagram, il problema diventa enorme».
Un altro recentissimo studio pubblicato come preprint su Pediatrics a dicembre ha indagato i deficit di attenzione, isolando gli effetti specifici dei social media rispetto ad altre attività digitali. Il risultato è stato inequivocabile: videogiochi e video in streaming non mostravano correlazioni significative con deficit di attenzione. I social media sì.
Torkel Klingberg, professore di neuroscienze cognitive al Karolinska Institutet in Svezia e coautore dello studio, lo spiega così: «I social media forniscono distrazioni costanti. Se non sono i messaggi stessi, è il pensiero di averne uno nuovo». Il cervello degli adolescenti, esposto a flussi continui di notifiche, messaggi e contenuti brevi, sviluppa sintomi evidenti e misurabili di disattenzione. È un circolo vizioso neurologico. Il cervello si adatta, certo. Ma l’adattamento va in entrambe le direzioni. Se alleni costantemente la distrazione, l’abilità di concentrarti si deteriora. Klingberg sottolinea che le abilità cognitive non sono fisse, dipendono dall’uso: «Se le alleni, migliorano. Se le ignori, peggiorano».
Il problema è che i social media, come aveva spiegato molto bene Riccardo Luna, sono progettati precisamente per massimizzare il tempo di utilizzo, non per allenare capacità cognitive utili. Ogni notifica è un rinforzo che spinge il cervello a controllare di nuovo. E di nuovo. E di nuovo. È un sistema perfettamente calibrato per catturare l’attenzione, ma devastante per lo sviluppo di quella stessa attenzione.
Le prove del deficit di attenzione sono anche fisiche, come ha sottolineato uno studio giapponese pubblicato su Translational Psychiatry nell’ottobre scorso. Ricercatori dell’Università di Fukui hanno seguito 11.878 bambini di 9-10 anni per un periodo di due anni, usando risonanza magnetica avanzata per monitorare i cambiamenti strutturali del cervello. I risultati hanno mostrato che un maggiore tempo di utilizzo degli schermi era associato a un volume corticale ridotto e a una crescita rallentata in regioni cerebrali chiave per la funzione cognitiva. Non si tratta solo di comportamento o prestazioni: la struttura fisica del cervello cambia e l’esposizione eccessiva agli schermi può ritardare la maturazione cerebrale e causare sintomi più gravi del disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD).
Che cosa possiamo fare
Di fronte a questo quadro per nulla rassicurante la buona notizia è che esistono strategie concrete per proteggere i nostri figli. Non serve demonizzare la tecnologia né rinunciare completamente agli smartphone. Serve usarli in modo consapevole.
–Ritardare l’accesso: la prima e più importante strategia è ritardare l’età del primo smartphone. I dati di Barzilay sono chiari: ogni anno di ritardo nella prima adolescenza conta. Se possibile, aspettare almeno i tredici anni, meglio ancora i quattordici o quindici. In quella fase, la corteccia prefrontale è più sviluppata e meglio equipaggiata per gestire le tentazioni algoritmiche.
-Dare il buon esempio: Laura Turuani psicologa e psicoterapeuta dell’Istituto Minotauro di Milano, esperta di adolescenti e dinamiche familiari sottolinea che il modo più efficace per gestire l’uso degli schermi non è il divieto, ma l’esempio. I bambini imitano i genitori, soprattutto nelle abitudini notturne. «Se gli adulti per primi non riescono a staccarsi dal telefono, come possono pretendere che lo facciano i ragazzi?» osserva Turuani. «L’educazione passa attraverso la coerenza, la prevedibilità e la capacità di dare l’esempio. I divieti, da soli, rischiano solo di alimentare opposizione o senso di colpa». Le ricerche mostrano che ridurre l’uso del dispositivo anche solo di un’ora al giorno ha effetti migliori e più duraturi rispetto a tentativi drastici di eliminazione totale. Il cervello degli adolescenti risponde meglio ai cambiamenti graduali rispetto a choc improvvisi: è una questione di neuroplasticità, il cervello si adatta lentamente e non a comando.
-Creare momenti liberi dagli schermi: la camera da letto dovrebbe essere un «santuario» senza dispositivi. La cena dovrebbe essere un momento di conversazione faccia a faccia. Queste regole valgono per tutta la famiglia, genitori compresi.
–Privilegiare la quantità dei contenuti: un’ora passata a guardare un documentario educativo ha un impatto diverso da un’ora passata a scrollare TikTok. Un videogioco strategico che richiede pianificazione e problem solving allena il cervello diversamente da una slot machine digitale progettatoa per creare dipendenza. È utile aiutare i ragazzi a sviluppare un senso critico sui contenuti.
-Controlli parentali intelligenti: i controlli parentali non dovrebbero essere strumenti di sorveglianza totale, ma supporti alla gestione autonoma. Diverse app permettono di impostare limiti giornalieri, bloccare certe applicazioni in determinati orari, monitorare l’uso senza invadere completamente la privacy ma l’obiettivo è costruire gradualmente l’autoregolazione, non imporre un controllo esterno permanente.
– Costruire alternative attraenti: il modo più efficace per ridurre il tempo sugli schermi non è proibire, ma offrire alternative più attraenti, anche se può essere molto faticoso. Sport, musica, arte, tempo con gli amici nella vita reale. Se l’unica alternativa allo smartphone è la noia, la battaglia è persa in partenza.
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29 dicembre 2025 ( modifica il 29 dicembre 2025 | 15:58)
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