di
Guido Olimpio
In crescita l’influenza in Africa degli Emirati, che ora competono con l’Arabia Saudita
È il Grande Gioco, dal Mediterraneo al Corno d’Africa. Domenica è stata confermata la firma di un patto di collaborazione militare Israele-Grecia-Cipro. Prevede training, scambio di informazioni, condivisione di strategie ma, probabilmente, molto di più. Indiscrezioni – smentite – non hanno escluso la nascita di una forza di pronto intervento di 2.500 uomini provenienti dai tre Paesi.
Lo sviluppo racchiude tre aspetti. Il primo. Gli israeliani si sono addestrati spesso a Cipro, simulando manovre applicate nella guerra contro l’Hezbollah e altre da attuare nel conflitto con l’Iran. Il secondo. L’avversario è la Turchia, proiettata con il suo progetto di influenza nel bacino mediterraneo e nella vicina Siria. Il terzo. Francia e Egitto hanno affiancato in passato greci e ciprioti, stessa cosa hanno fatto gli Emirati, oggi tra i più aggressivi nelle iniziative lontano dal Golfo e appaiati, di frequente, a Tel Aviv. Per evidenti ragioni: pragmatismo, opposizione allo schieramento dell’Islam politico.
Ciò non impedisce agli emiratini di investire nell’economia turca. Gli affari sono affari. Alcuni di questi aspetti li ritroviamo ad un quadrante in fibrillazione, quello che racchiude la porta delle lacrime, Bab el Mandeb, l’ingresso meridionale del Mar Rosso. Israele ha appena riconosciuto – unico al mondo – il Somaliland, regione nordoccidentale della Somalia.
Mossa che può portare molti vantaggi. Compreso l’eventuale uso dei moli di Berbera, un’installazione gestita – guarda caso – dall’ente porto di Dubai. Nelle vicinanze una pista aerea in grado di accogliere grandi cargo: foto satellitari hanno rivelato moderni hangar e strutture. Tel Aviv è interessata a creare un avamposto per l’Idf (Marina, aviazione) e per l’intelligence che può servire a contrastare gli Houthi filoiraniani. Infatti, il movimento sciita ha subito minacciato ritorsioni.
I legami con il Somaliland non possono prescindere dal rapporto con gli Emirati che hanno creato una serie di basi proprio in questo scacchiere intromettendosi nella pratica somala. Per propri interessi strategici ma anche in concorrenza – di nuovo – con Ankara e Qatar. I turchi hanno un ruolo militare ed economico in Somalia (porti, aeroporti, Accademia, scuole, un centro spaziale) e vogliono ampliarlo, un segmento di un’offensiva in tutta l’Africa. In coda sono spuntati gli egiziani con un programma di assistenza a Mogadiscio. Non gli unici. I serbi hanno appena finito la preparazione di forze speciali che devono garantire la protezione ai Vip.
Ampia l’azione americana con raid continui contro il movimento qaedista degli Shabaab, spina nel fianco per la Somalia. Forse è per questo che l’umorale Donald Trump, per ora, si è detto contrario al riconoscimento del Somaliland. Che, avvisa qualche esperto, è territorio con dissidi interni profondi, spaccature serie tra clan.
I critici di Netanyahu, invece, hanno sottolineato la levata di scudi internazionale davanti al passo di Tel Aviv: governi, regimi, militanti si sono trovati fianco a fianco sulla linea del no. Non mancano le speculazioni su un possibile trasferimento di palestinesi da Gaza, piano evocato in passato fonte di tensione. Ed esiste, più in generale, una sensibilità particolare lungo una via d’acqua fondamentale per i commerci, lo dimostrano le installazioni militari a Gibuti di Usa, Francia, Cina, Giappone e Italia.
Nella partita entra poi l’Etiopia, costantemente alla ricerca di uno sbocco al mare. Aveva firmato un’intesa per avere un corridoio attraverso il quale arrivare a Berbera, ipotesi saltata per l’intervento turco. Addis Abeba ha anche rilanciato il contrasto con l’Eritrea, sempre per la medesima ragione. Nota: sia gli eritrei che gli etiopi hanno avuto relazioni altalenanti con gli israeliani, con storie di spie, stazioni d’ascolto, sponde. L’Etiopia ha beneficiato dell’appoggio degli Emirati: chi traccia voli da trasporto ha segnalato un intenso flusso di velivoli, parte di un network che si allunga fino al Sudan, crisi dove gli emiratini fiancheggiano le milizie ribelli Rfs. Altra nota: gli egiziani duellano a livello diplomatico con gli etiopi, una contesa aspra causata dalla gigantesca diga eretta da Addis Abeba sul Nilo. Lo sbarramento è visto dal Cairo come una minaccia esistenziale. Il sommovimento è ancora più spettacolare nello Yemen con la rivalità tra Emirati e Arabia Saudita esplosa con l’offensiva del Stc, movimento finanziato dai primi, ai danni del governo “centrale” sostenuto da Riad. Gli Emiratini puntano alle risorse petrolifere e al controllo della zona costiera meridionale, un ampliamento della loro presenza attorno a Bab el Mandeb dove hanno realizzato postazioni. L’isola di Socotra ne è il simbolo.
È un approccio «militante». Al contrario i sauditi tentano di abbassare le tensioni con gli sciiti. I progetti interni di Mohammed bin Salman, che stanno così a cuore anche alla famiglia Trump, hanno bisogno di stabilità, non di frizioni. Ma ci sono dei momenti dove nessuno è disposto a perdere la faccia.
29 dicembre 2025
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