L’ultimo episodio, il cicloamatore trovato positivo alla granfondo La Medievale, cui gli organizzatori hanno chiesto un risarcimento di 30mila euro ha riportato alla luce una polemica assopita ma che nei fatti prosegue contando numeri al ribasso in molte manifestazioni.
Le granfondo, così come le conosciamo tradizionalmente, sono in crisi? Probabilmente, quella cui stiamo assistenza, più che una crisi delle Granfondo è una messa in discussione di un modello “tradizionale” cui siamo stati abituati da diversi decenni. Quello della granfondo intesa come gara vera e propria.
Sul senso della granfondo agonistica
Già in passato ci si domandava il senso di far correre dei cicloamatori (per definizione, persone che nella vita lavorano e si allenano come e quando possono) su distanze agonistiche degne di categorie agonistiche. Ma se una volta l’evidenza dei numeri e della grande partecipazione metteva tutto a tacere, da un po’ di anni la tendenza sembra decisamente cambiata.
Il mondo delle granfondo sta attraversando una fase che non può più essere liquidata come un semplice momento di flessione. I numeri parlano chiaro: in molte manifestazioni storiche la partecipazione è in calo, talvolta anche marcato, mentre solo poche realtà riescono a mantenere o addirittura aumentare gli iscritti andando in controtendenza. Non è un caso isolato, né una coincidenza legata a una singola stagione: è il segnale di un cambiamento più profondo nel modo in cui le persone vivono la bicicletta e il tempo libero.
Per la maggioranza dei partecipanti la granfondo è un momento di condivsione di un’esperienza in un territorio nuovo
Quel cambiamento innescato dopo la pandemia
La pandemia ha accelerato dinamiche già in atto. Molti appassionati hanno riscoperto il piacere di pedalare in autonomia, senza orari, senza griglie di partenza, senza l’ansia della prestazione. Uscite più brevi, meno stressanti, più compatibili con la vita quotidiana. Quando gli eventi sono tornati, una parte di quel pubblico non è semplicemente rientrata nei ranghi delle granfondo tradizionali. Non per disinteresse verso la bicicletta, ma perché il modello non rispondeva più alle nuove aspettative.
Quando il formato non rispecchia più il pubblico
Il punto centrale è proprio questo: molte granfondo continuano a essere costruite attorno a un’idea di partecipante che oggi rappresenta solo una parte minoritaria del movimento. L’agonista puro, allenato, disposto a viaggiare, spendere e competere per una classifica, esiste ancora, ma non è più il baricentro del sistema. Tutti gli altri, la maggioranza, finiscono presto col pedalare oltre la macchina di fine corsa.
Nel frattempo, poi, una parte consistente dei ciclisti si è spostata verso un’idea diversa di esperienza: meno pressione, meno competizione esasperata, più attenzione al contesto, alla sicurezza, al piacere di pedalare. Quando questi due mondi vengono forzatamente fatti convivere senza un progetto chiaro, emergono le frizioni: chi va forte vede il resto del gruppo quasi come una zavorra, chi va piano si sente fuori posto, e alla fine nessuno è davvero soddisfatto.
Il risultato è un paradosso: eventi sempre più complessi e costosi da organizzare, ma percepiti come meno inclusivi e, in alcuni casi, meno sicuri. Da qui nasce anche il senso di frustrazione di chi, pur pagando una quota importante, si ritrova dopo pochi chilometri in mezzo al traffico, senza più l’idea di far parte di una manifestazione strutturata.
L’esempio che funziona: meno gara, più esperienza
È in questo contesto che modelli come quello delle manifestazioni con tratti cronometrati stanno dimostrando di intercettare un bisogno reale. Non perché rinuncino alla competizione, ma perché la rimettono al suo posto. Chi vuole spingere può farlo, chi vuole godersi il percorso lo fa senza sentirsi fuori luogo o di intralcio. La sua partecipazione lenta è prevista dall’organizzazione, senza la mannaia del fine corsa a sancire che non si fa più parte dell’evento.
Questo approccio cambia radicalmente la percezione dell’evento: non più una corsa “travestita” da cicloturistica, ma un’esperienza completa, in cui la prestazione è una componente e non l’unico fine. Si abbassa la tensione, cresce il senso di comunità, aumenta la qualità del tempo trascorso in sella.
Ed è proprio questa dimensione esperienziale a rappresentare oggi il vero valore aggiunto. Non tanto il cronometro, quanto il racconto che ciascuno può portarsi a casa: il paesaggio, la fatica condivisa, la scoperta di un territorio, la socialità prima e dopo la pedalata.
Il vero nodo: ripensare il senso delle granfondo (con l’occhio al gravel)
Il punto, quindi, non è salvare le granfondo così come sono state finora, ma interrogarsi su cosa possano diventare. Continuare a difendere modelli nati in un altro contesto rischia di allontanare ulteriormente chi oggi cerca nella bici qualcosa di diverso: un’esperienza sostenibile, sicura, appagante e compatibile con la vita quotidiana.
Ripensare i format non significa snaturarli, ma evolverli. Alcuni hanno “migrato” l’evento in un’esperienza gravel che ha allontanato dai pericoli e le burocrazie delle strade asfaltate, altri cercano soluzioni.
Di sicuro va accettato come l’agonismo non sia più l’unico motore, che la classifica interessi pochi, mentre il valore dell’evento risiede sempre più nella qualità dell’esperienza complessiva. Significa anche riconoscere che la sicurezza, la formazione e la convivenza sulla strada non sono dettagli organizzativi, ma elementi centrali della proposta.
In fondo, il successo di alcune manifestazioni “ibride” dimostra che una strada alternativa esiste già. Sta agli organizzatori decidere se percorrerla, adattandosi a un pubblico che è cambiato, oppure restare ancorati a un modello che, numeri alla mano, mostra segni sempre più evidenti di affaticamento.
E forse è proprio da qui che passa il futuro delle granfondo: non dal cronometro, ma dalla capacità di tornare a dare senso all’esperienza di pedalare insieme.
L’utente deve tornare protagonista
Il disamore di molti utenti parte dal non sentirsi più parte dell’evento ma comparse anche un po’ fuori posto. Esaltare i vincitori, puntandogli addosso attenzioni (e, a volte, pure telecamere) porta l’utente che non arriva tra i primi a ritrovarsi in un contesto in cui non si riconosce più. Non è un caso che chi sta riuscendo ad andare in controtendenza è chi sta riportando l’esperienza dell’utente al centro. Che sia in versione meno agonistica o più esplorativa non conta. È il sentirsi esclusi che fa scappare via.