Sabalenka e Kyrgios si sono sfidati in una rivisitazione dello storico match del 1973 e il risultato è stato completamente diverso. Uno spettacolo senza alcuna rivendicazione politica, la prova che questo sport non è più di nicchia. Conquistata la parità di premi tra uomini e donne, per cosa dovrebbero battersi oggi gli sportivi? Forse, per non essere trattati come animali da circo negli zoo sauditi

Infine, la “battaglia dei sessi” tra Aryna Sabalenka e Nick Kyrgios si è giocata. Nella maxi Coca-Cola Arena di Dubai, tutto esaurito con 17mila spettatori paganti, trasmessa in chiaro in molti paesi del mondo tra cui l’Italia. Il risultato è stato quello previsto, non tanto nel punteggio: poco tennis, molta esibizione, moltissimi milioni di dollari, guadagnati dai giocatori e incassati dagli organizzatori.

Anche qui, come da pronostico, della storica battaglia dei sessi del 1973 tra Billie Jean King e Bobby Riggs è rimasto giusto il nome a creare l’allure necessaria a far vendere i biglietti.

La partita

L’esito è forse la cosa meno interessante: 2a0 per Kyrgios, che ha vinto entrambi i set con il punteggio di 6-3. Il colpo chiave di tutta la partita è stato il servizio: quello dell’australiano è stato spesso troppo forte perché l’avversaria riuscisse a rispondere mettendo in campo la palla, quello di Sabalenka è stato invece spesso impreciso e dunque è stata penalizzata perché le regole della partita prevedevano che non ci fosse la seconda battuta. Così l’esito sono stati 10 punti persi per lei per errore in battuta.

Qualche punto entusiasmante è stato giocato – scontato per la numero 1 del mondo della classifica femminile e uno dei giocatori più dotati (e sciupatori di talento) della sua generazione – ma troppo poco per chiamarla una partita vera.

Del resto il cambio delle regole, a partire dal campo di Sabalenka più piccolo del 9 per cento, ha trasformato tutto in uno show distopico più che in un match. Guardandolo dalla televisione di casa, infatti, la sensazione era quasi quella di una illusione ottica: il campo era tracciato a terra senza corridoi e i centimetri di larghezza mancanti a quello della tennista bielorussa facevano sembrare quello in corso tutto tranne che una partita di tennis. Probabilmente anche questo ha reso il clima tra i due avversari qualcosa di più simile a una partitella per smaltire il panettone natalizio.

L’effetto finale è stato quello di una pura esibizione: entrate in campo da sfilata di moda per Sabalenka e da circo per Kyrgios, molti sorrisi, qualche fastidio dopo gli errori per entrambi, un grande abbraccio finale e la promessa di una rivincita, magari già al prossimo Natale se l’Emirato finanzierà.

il significato

Inevitabilmente, tutto ha infastidito i puristi del tennis e anche i politici del gioco, che speravano in qualcosa che fosse più simile allo sport agonistico e che aves se anche un messaggio sociale da consegn are al mondo. Invece, nulla di tutto questo. Del resto, il format e gli stessi contendenti non avevano promesso nulla di diverso da quanto hanno servito.

Dietro la partita non c’era alcuna rivendicazione femminile e Sabalenka è stata ben contenta di esibirsi senza rischiare nulla per sé né per le colleghe tenniste, come era stato invece per Billie Jean King. Del resto, la parità di premi è già sostanzialmente stata raggiunta e anche gli sponsor, sportivi e non, coprono equanimemente d’oro donne e uomini. 

Forse l’unica vera operazione riuscita è stata quella di rendere un poco meno antipatico Nick Kyrgios, che coi suoi sorrisi e un’inattesa sportività ha tentato di cancellare la brutta immagine di sé che spesso ha dato sia in campo che fuori, tra urla agli arbitri e tweet al veleno contro ex fidanzate e Jannik Sinner.

E allora?

Eppure, questa finta “Battaglia dei sessi” è solo una delle tante schegge apparentemente impazzite del tennis. È un dato di fatto che questo sport, prima più di nicchia, oggi abbia raggiunto proporzioni di popolarità mai toccate prima, con una iniezione di miliardi che però non arrivano gratis.

La “battaglia dei sessi” ha fatto più scalpore perché urta le sensibilità, facendo leva su un tema – la parità tra uomini e donne negli sport – che rimane controverso, ma cosa si dovrebbe dire allora del “Million Dollar 1 Point Slam” dove dilettanti giocano contro professionisti con un format a punto secco? Anche il Six Kings, con campioni – nessuno dei quali si tira mai indietro – scelti ad arbitrio degli organizzatori nel bel mezzo degli ultimi mesi del tour, dovrebbe far rabbrividire. E perché allora non contestare anche il formato del doppio misto di Us Open, giocato a quattro set in due soli giorni, con inviti ai top 10 tra i singolaristi e snobbando i doppisti veri?

Il punto è che il tennis si sta sempre più commercializzando. Non piacerà ma con questo bisogna fare i conti e la “battaglia dei sessi” non è stata altro che un ingranaggio di questa grande macchina per fare soldi. La domanda giusta, forse, allora è un’altra. Billie Jean King è stata la grande madre del tennis moderno e della sua personale battaglia tra sessi si parla ancora a cinquant’anni di distanza. Le tenniste (e i tennisti) di oggi hanno ancora qualche vetta da scalare, qualcosa per cui battersi come categoria proprio nello sport più crudelmente solitario di tutti?

Forse la risposta è proprio quella di non essere trattati come animali da circo negli zoo sauditi anche se, per evitarlo, basterebbe rinunciare a qualche milione di dollari. Più facile a dirsi che a farsi.

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