La carenza di infermieri in tutti i settori ospedalieri e di medici specialisti in alcune aree specifiche, come il Pronto Soccorso ma non solo, sta spingendo a soluzioni estreme. Così si reclutano infermieri da paesi lontani, li si infarina di un po’ di lingua italiana con poche nozioni essenziali apprese in corsi base e si accettano attestati professionali non sempre equivalenti ai nostri. Ora si affaccia la stessa situazione per i medici per far fronte allo stop imposto ai gettonisti a livello nazionale, dopo che la Lombardia con l’assessore Bertolaso se ne era fatta prima promotrice.
Il problema però si impone: cediamo alla qualità o chiudiamo gli ospedali? Da professionista mi fa paura pensare che ad assistere i pazienti ci sia qualcuno che oltre alla barriera linguistica non abbia tutte le competenze e professionalità necessarie. Alcune esperienze sono state positive dal punto di vista tecnico, per esempio quella delle equipe mediche cubane in Calabria, ma non sempre è stato così.
Un primo aiuto sul versante infermieristico potrebbe venire dalla recente istituzione della figura dell’«assistente infermiere», una sorta di OSS (operatore socio-sanitario), riqualificato. Bisognerebbe poi far fare ai medici solo quello che a loro compete, sgravandoli dall’importante mole di lavoro amministrativo burocratico che potrebbe essere svolto da altre figure professionali. L’Italia credo che sia il Paese europeo con meno segretarie nei reparti ospedalieri, lettere di dimissioni e richieste anche banali sono tutte compilate dai dottori.
Certo, non saranno le segretarie e gli aiutanti infermieri a risolvere il problema ma intanto sarebbe un primo passo.
Resta poi un punto nodale: gli stipendi. Quelli italiani sono così bassi che è perfino quasi impossibile importare manodopera qualificata da altri paesi, perché considerando i costi della vita e le basse retribuzioni a nessuno conviene trasferirsi da noi. Aumentare gli stipendi però vuole dire destinare più risorse alla sanità, risorse che non ci sono, rivalutare i DRG (Diagnosis Related Group o raggruppamenti omogenei di diagnosi) e quindi rivedere tutto il sistema salute, razionalizzando anche la rete ospedaliera. Così, come nel gioco dell’oca, si torna al punto di partenza: senza una vera riforma del Servizio sanitario nazionale non si va da nessuna parte.
4 agosto 2025
© RIPRODUZIONE RISERVATA