di
Andrea Nicastro
Anche con il sì Usa a nuovi raid nella regione, restano frizioni sui passi per la fase 2
DAL NOSTRO INVIATO
GERUSALEMME – Il premier israeliano Benjamin Netanyahu lascia la Florida e vola verso casa con in tasca il via libera americano a riprendere i bombardamenti su tre fronti: Gaza, Libano e Iran.
Le milizie di Hamas ed Hezbollah devono disarmare altrimenti verranno di nuovo colpite, ha detto il presidente americano. L’Iran deve dimostrare di non inseguire più tecnologie atomiche e neppure ricostituire l’arsenale missilistico consumato nella Guerra dei 12 giorni di giugno. Non è ancora certo che lo stia facendo. I servizi segreti israeliani sono convinti di sì, quelli americani dubitano. Ma se Trump avvertisse il pericolo, Israele e Stati Uniti manderanno l’Iran «di nuovo knock out», al tappeto.
Nella reggia trumpiana di Mar-a-Lago ha trionfato il teorema secondo cui lo Stato ebraico sarà al sicuro solo quando avrà attorno vicini disarmati e fisicamente incapaci di nuocergli.
Secondo i portavoce, l’armonia tra i due leader è stata «la migliore dei sei summit avuti sin’ora». Trump ha descritto il premier come un «eroe di guerra, salvatore di Israele». Netanyahu ha compensato il mancato Nobel per la Pace con l’Israel Prize 2026.
I bombardamenti sono solo una questione di tempo o la minaccia per ottenere il disarmo dei tre nemici prima di sparare? Dipende dalla risposta. Nessuno dei tre si dice disposto a cedere. Soprattutto l’Iran vuole mantenere la sua deterrenza e in questa include anche Hezbollah.
Nei giorni scorsi Teheran ha annunciato che un attacco massiccio alla milizia libanese sarebbe considerato come un’aggressione allo stesso Iran. I media della Regione, arabi e israeliani concordi, però non hanno tutti creduto all’armonia tra Trump e Netanyahu.
La pace con la Siria e il coinvolgimento delle truppe turche a Gaza sono elementi di frizione che i due leader hanno lasciato emergere. Trump è favorevole, Bibi no. Un altro è l’offensiva dei coloni israeliani contro i palestinesi in Cisgiordania. «Non siamo al 100% d’accordo, ma arriveremo a una sintesi», ha detto Trump.
Secondo i dati dell’esercito israeliano ci sono state circa due aggressioni al giorno da parte di coloni negli ultimi 24 mesi: 752 nel 2025. Praticamente nessuno è stato incriminato, segno che lo Stato li appoggia. L’espansione delle colonie (illegali per il diritto internazionale come per quello israeliano) è impressionante. Ormai i palestinesi sono stati messi in fuga dalle violenze da circa il 60% della Cisgiordania.
La base elettorale di Trump è divisa sul problema. Molti condividono l’aggressività contro l’asse iraniano, ma contestano le violenze personali contro pastori e civili. Secondo il media online Axios, la squadra di Trump ha contestato agli israeliani i vari miliardi di dollari che Israele raccoglie come tasse dai palestinesi, ma rifiuta di consegnare all’Autorità Nazionale Palestinese (Anp) a cui spetterebbero. Per Netanyahu è un modo per spezzare quel poco che esiste di governo palestinese. Trump invece deve anche accontentare gli alleati e soci in affari sauditi che vorrebbero l’Anp anche a capo di Gaza. Almeno una crepa nell’alleanza d’acciaio c’è.
30 dicembre 2025
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