Partito da Gerusalemme e da alcuni villaggi palestinesi, un gruppo di 35 ragazzi e ragazze sta trascorrendo nella capitale giornate di sollievo e fraternità grazie a un gemellaggio avviato dal gesuita Massimo Nevola con la Comunità di Vita Cristiana in Italia. Domani, 31 dicembre, parteciperanno all’udienza in Piazza San Pietro con il Papa, ieri un breve incontro al Quirinale con Mattarella. Con loro anche il parroco di Zababdeh: “Serve il miracolo della pace, siamo stanchi, veniteci a trovare”

Antonella Palermo – Città del Vaticano

Si aggirano per le vie del centro di una Roma splendente più che mai. Felici, ridono, cercano di orientarsi. Sono 35 giovani palestinesi arrivati in Italia il 28 dicembre per trascorrere qualche giorno di fraternità giubilare, domani parteciperanno all’udienza generale in piazza San Pietro, l’ultima del 2025. L’idea è venuta al gesuita padre Massimo Nevola, assistente spirituale delle Comunità di Vita Cristiana (Cvx) in Italia. Dopo un recente viaggio in Terra Santa, sotto gli auspici del cardinale Pierbattista Pizzaballa, Patriarca di Gerusalemme dei Latini, si è creato un gemellaggio tra l’associazione, alcune scuole tra cui il Gonzaga di Palermo e il Visconti di Roma e alcune parrocchie della Cisgiordania, in particolare quella di Zababdeh e Beit Hanina (a Gerusalemme est) e altre realtà parrocchiali in frazioni di Ramallah e Jenin.

“La loro presenza qui nasce dal desiderio di offrire, anche attraverso la nostra amicizia, un momento di libertà e di fraternità che li incoraggi a sognare un futuro migliore per la Palestina”, spiega padre Nevola incontrato ieri, 29 dicembre, con i ragazzi all’uscita dal Quirinale: “Eravamo qui in visita e il presidente Mattarella ci ha salutato. Dal capo dello Stato abbiamo avuto la conferma della bontà dell’iniziativa, ci ha incoraggiato ad andare avanti seminando speranza. Il suo è stato un augurio semplice in modo che potessero sentire l’Italia vicina in questo cammino di speranza”.

Al Quirinale

Al Quirinale

“Ci sentiamo parte di una grande famiglia che ci ama”

Charlie Batarseh fa parte del gruppo di pastorale giovanile a Gerusalemme dal 2009. Ha un lavoro ma la situazione non è semplice: “Il nostro Paese è costantemente in guerra, ma posso dire che, dalla mia esperienza maturata nel corso degli anni, nonostante tutto il caos in cui viviamo, la Chiesa è sempre stata fonte di speranza, il luogo dove possiamo trovare la pace, dove possiamo trovare Gesù e sentire il suo amore e la sua presenza nella nostra vita. E sono molto felice di poter parlare a nome di tutti i giovani qui con me, che siamo molto, molto felici di partecipare a questo viaggio – dice -, perché quando siamo a casa sentiamo che la Chiesa è come la nostra casa, la nostra famiglia. E ora sentiamo di far parte di una grande famiglia, una famiglia internazionale che si prende cura di noi, che ci ama”. Esprime tutto l’entusiasmo di poter incontrare il Papa, di poter diffondere, una volta rientrati, un po’ di speranza a tutti a chi si incontra. “Ringraziamo tutti quelli che hanno contribuito a renderlo possibile. È stato spettacolare e ricorderemo questi giorni per il resto della nostra vita”.

A sostenere i costi del viaggio è stata la Regione Lazio che si è fatta carico anche dell’alloggio ad Assisi, che visiteranno il 2 e il 3 gennaio. Oggi il rito del Giubileo in Vaticano, la visita alle Basiliche papali, alle Catacombe di San Calisto, all’Abbazia delle Tre Fontane, domani il Te Deum recitato nella chiesa di Sant’Ignazio e il brindisi di fine anno condiviso sulla terrazza de La Civiltà Cattolica. Un’immersione nella bellezza, per mettere un po’ da parte la tensione del conflitto. Taym Shaheen non vede l’ora di condividere un messaggio ai suoi coetanei: “Qualunque cosa ci capiti, c’è sempre speranza perché Dio è dentro di noi e vive intorno a noi, quindi nulla potrà mai accaderci, anche se siamo in Palestina o in qualsiasi altra parte del mondo. Siamo così fortunati ad essere a Gerusalemme: è qui che Dio è cresciuto e ora siamo anche qui, dove si trova la prima Chiesa, la chiesa più grande”.

Padre Jallouf: situazioni non facili ma la fede si rafforza

È ciò che confida anche il francescano padre Johnny Jallouf, trentenne, uno degli accompagnatori. Di origini siriane, ha il fratello gemello ad Aleppo, anch’egli sacerdote. “Siamo nella Città eterna e veniamo dalla Città santa. L’aggettivo è diverso ma tutte e due richiamano Dio, l’eterno e l’Altissimo. Come giovani siamo radicati nella fede di Terra Santa dove Dio ha voluto portare la salvezza al mondo. Poi c’è Roma, dove la Chiesa è stata perseguitata, con la testimonianza degli apostoli. Siamo su questa strada. Essere qui – racconta – è creare relazioni, ponti, dialogo, anche con i giovani della capitale, per allargare gli orizzonti dei nostri giovani”. Ammette che nell’ultimo anno ci sono stati momenti bui ma la speranza non è stata abbandonata. “Le nazioni possono farsi e disfarsi ma Cristo rimane in eterno. Lui ha portato la vita. La nostra speranza è fondata in Lui”. Accenna all’esperienza di parroco nella chiesa di San Giacomo a Beit Hanina: “I parrocchiani sono divisi perché la zona in cui insiste la parrocchia si estende anche oltre il muro di separazione. Molti devono fare avanti e indietro per portare i figli a scuola, i permessi vengono rilasciati a volte sì e a volte no. Magari una famiglia ha uno dei genitori con la carta di identità gerosolimitana e l’altro no. Sono sfide con cui ci si confronta ogni giorno”.

Alcuni dei giovani a piazza sant'Ignazio a Roma

Alcuni dei giovani a piazza sant’Ignazio a Roma

Padre Jalloup osserva che si tratta di disagi che temprano la fede, cosa ereditata ma mai da dare per scontata: “È qualcosa di concreto, la fede, che bisogna far crescere con il tempo”. Alla vigilia della Giornata mondiale della Pace, il ringraziamento va al Santo Padre “che si ricorda delle guerre dimenticate e di quelle che continuano da tanti anni specialmente in Medio Oriente. Dio è il Re della Pace. Gesù, ricordiamo, è venuto al mondo nel pieno di conflitti, di migrazioni forzate. Dio non ha parlato al mondo con eserciti, con persone che mettono paura ma con un bambino di fronte a un mondo ferito. Preghiamo per la pace, quella vera. Che venga il Regno di Cristo – è l’appello – affinché possiamo tutti rispettare l’altro a prescindere dalla religione, dal colore, perché siamo tutti fratelli nello stesso Dio”.

Don Tabban: chiediamo il miracolo della pace

“Volevamo uscire e vedere questi luoghi sacri”, racconta Joseph Al-Waisakhi Ibrahim. “Era da molto tempo che volevamo visitare questo Paese, conoscere persone nuove. È molto bello essere qui. È una libertà religiosa e psicologica. Vogliamo essere uniti, vogliamo venire qui tutte le volte che possiamo. Spero che questa non sia la prima né l’ultima volta. Spero che accadranno cose nuove”.

Di periodo molto duro, molto difficile, a livello economico, politico, sociale parla don Elias Tabban, parroco di Zababdeh, un villaggio nei pressi di Jenin, a 120 chilometri da Gerusalemme. Tremila cristiani (2300 cattolici) su una popolazione di cinquemila abitanti. Se la precarietà si è diffusa a macchia d’olio, “a livello spirituale in parrocchia va quasi meglio perché le persone pregano di più”, dice. “Siamo qui per pregare, per essere uniti con la Chiesa di Roma, con il Papa, per portare il messaggio di pace per la Palestina, la Terra Santa, per Israele e per tutti. Siamo esseri umani e abbiamo bisogno della pace. Tutti sono stanchissimi della guerra. Essere qua è un conforto, un sollievo”. L’appello è a non aver paura di recarsi in pellegrinaggio in Terra Santa. “Ci darebbe speranza sapere e vedere che non siamo soli”. E conclude: “Ogni volta che siamo vicini alla pace, c’è qualcosa che si mette di traverso e la manda per aria. E allora dobbiamo pregare di più. Servirebbe un miracolo… Dio è pace, Dio è amore. Alla fine Dio vincerà”.