L’abbassamento dei dazi americani dal temuto 50% all’effettivo 15% potrebbe non bastare al Lesotho, piccola nazione sudafricana da 2,3 milioni di abitanti, ed evitare il danno inflitto alla sua industria tessile – fortemente dipendente dalle esportazioni negli Usa – che ora sta affrontando massicce chiusure di fabbriche e una crescente disoccupazione.
Il Lesotho era stata la nazione più colpita nel “liberation Day” di Donald Trump, con un’aliquota più alta di tutte prima che fosse sospesa. Il regno, che Trump aveva in marzo definito “il Paese di cui nessuno conosce l’esistenza”, ha un prodotto interno lordo di poco più di 2 miliardi di dollari, basato quasi interamente sulle esportazioni di prodotti tessili. La maggior parte destinata agli Stati Uniti, dove aveva finora beneficiato di un accesso privilegiato a dazi ‘zero’ grazie all’African Growth and Opportunity Act (Agoa).
Grazie a questo il Lesotho era negli anni diventata la “capitale africana del denim”, spiega la Bbc, con fabbriche impegnate a produrre per marchi americani storici come Levi’s e Wrangler. Ma per la minaccia dei dazi, molti importatori statunitensi hanno annullato gli ordini, e le aziende hanno licenziato in massa. Il Lesotho ha dichiarato lo “stato di calamità” nazionale” per l’impennata di disoccupazione, già altissima nel Paese. Il ministro del Commercio, Mokhethi Shelile, mira ad una riduzione al 10% dei dazi per tornare ad essere competitivi sul mercato americano.
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