L’irruzione di Brigitte Bardot nel panorama cinematografico degli anni Cinquanta è stata una vera faglia sismica. Prima di lei la femminilità sul grande schermo era una costruzione geometrica, ingessata in corsetti morali e recitativi. Con BB il cinema ha scoperto la naturalezza come scandalo, la sua insolenza felina ha sovvertito i codici della rappresentazione e ha trasformato l’attrice da oggetto del desiderio in soggetto di un’emancipazione radicale.

Bardot ha imposto una presenza fisica che ha dialogato con la Nouvelle Vague e anticipato le rivolte culturali del ’68. Il suo è stato un cinema del corpo inteso come manifesto politico, un’estetica della libertà che ha costretto la critica del tempo a riscrivere la propria grammatica.

Ma sono cinque i film che meglio cristallizzano la sua traiettoria artistica e sovversiva.

Da Piace a troppi a Viva Maria!

Il suo primo film Piace a troppi (1956), firmato dal primo marito Roger Vadim, è un vero Big Bang. Bardot interpreta la giovane Juliette con una spregiudicatezza che annichilisce il perbenismo borghese. La celebre danza a piedi nudi è il punto di non ritorno. Qui nasce il mito di BB, una creatura libera, che non chiede il permesso per esistere e desiderare. In questo mambo frenetico, Bardot uccide la femme fatale classica alla Marilyn Monroe per far nascere la donna moderna.

In La verità (1960), diretto da Henri-Georges Clouzot, Bardot affronta quello che forse è il suo ruolo più viscerale. In questo dramma giudiziario la sua recitazione si spoglia della solarità provenzale per farsi dolente e rabbiosa.


Le Mépris (1963). Copyright by production studio and/or distributor

La critica del tempo rimase folgorata. Bardot dimostrò di possedere una profondità drammatica capace di reggere il peso di un intero processo alla morale comune, dando voce (e lacrime vere) a una gioventù incompresa che presto sarebbe esplosa nei moti del ’68.

Con Vita privata (1962) Louis Malle dirige un’opera quasi metacinematografica, dove la Bardot interpreta…la Bardot. La storia di una celebrità braccata dai fotografi è il racconto lucido del prezzo della libertà. In questo film l’attrice mette in scena la propria vulnerabilità, trasforma l’assedio dei paparazzi in una metafora sulla perdita dell’identità.

Ma il punto più alto della sua carriera artistica coincide con l’incontro con Jean-Luc Godard. Ne Il disprezzo (1963) Bardot diventa un’icona astratta, quasi una statua classica immersa nell’architettura razionalista di Capri. Godard ne de-costruisce il mito, usando la sua bellezza per riflettere sulla fine di un amore e sulla crisi del cinema stesso. Una performance cerebrale, distaccata.

In Viva Maria! (1965) troviamo ancora Louis Malle alla regia ma in un registro diametralmente opposto. Accanto a Jeanne Moreau, la Bardot si lancia in un’avventura picaresca che mescola rivoluzione messicana e spogliarello. A tutti gli effetti si assiste al trionfo del cinema pop: ironica e profondamente libera, BB dimostra di saper maneggiare la commedia con un’intelligenza che parodia il suo stesso sex appeal e la conferma un’icona intramontabile della cultura di massa.

Foto copertina: Copyright by production studio and/or distributor