Dopo settimane di confronto, il ministero dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste (Masaf) e le associazioni rappresentative del settore lattiero-caseario hanno raggiunto un accordo sul prezzo del latte alla stalla, valido per il primo trimestre del 2026.

Il latte rappresenta la materia prima per formaggi Dop e Igp, burro, yogurt e derivati, che costituiscono una quota rilevante dell’export e del Made in Italy. Tuttavia, proprio per questo, la filiera lattiero – casearia è esposta a tensioni continue tra produzione, trasformazione e distribuzione. Da qui, la necessità di un accordo.

Cosa prevede l’accordo

L’accordo stabilisce un prezzo di 0,54 euro al litro per gennaio 2026, 0,53 euro a febbraio e 0,52 euro a marzo, seguendo una progressione decrescente che tiene conto di:

  • dinamiche stagionali della produzione;
  • costi medi di allevamento;
  • prospettive di mercato.

Ciò che è più importante, però, è che fornisce un riferimento chiaro e condiviso in un contesto economico ancora segnato da forti incertezze.

Negli ultimi mesi, l’aumento dei costi di produzione (dall’energia ai mangimi, passando per il lavoro e la logistica) aveva messo sotto pressione soprattutto le stalle, alimentando il rischio concreto di una riduzione della produzione e dell’abbandono di molte aziende zootecniche (in particolare quelle di piccole e medie dimensioni). L’assenza di un prezzo condiviso rischiava di lasciare indietro una parte della produzione nazionale, con effetti a catena su tutta la filiera.

Aiuti all’export e controllo della produzione

Tra gli elementi qualificanti dell’intesa c’è anche la previsione di un pacchetto di aiuti per l’internazionalizzazione e la promozione dei prodotti della filiera, insieme alla messa a punto di un meccanismo per evitare lo sforamento rispetto alla propria media produttiva. Quest’ultimo aspetto è tutt’altro che marginale: una produzione eccessiva rispetto alla capacità di assorbimento del mercato rischia infatti di deprimere i prezzi, vanificando gli sforzi fatti per garantire una remunerazione adeguata agli allevatori.

Il controllo dei volumi, se gestito in modo condiviso e trasparente, può diventare uno strumento di equilibrio, capace di tutelare il reddito delle stalle senza penalizzare l’industria di trasformazione. È un tema che richiama alla memoria le vecchie quote latte, ma che oggi si colloca in un contesto completamente diverso, fatto di accordi volontari e di responsabilità di filiera, più che di imposizioni dall’alto.

Impatti economici e prospettive per il 2026

L’accordo sul prezzo del latte va letto come il tassello di una strategia più ampia di stabilizzazione del settore primario. I valori fissati (54, 53 e 52 centesimi al litro) non rappresentano una svolta epocale, ma segnano un livello di remunerazione che, se accompagnato da politiche di sostegno e da un’efficace valorizzazione del prodotto, può contribuire a rendere sostenibile l’attività di allevamento. Si tratta cioè di garantire un punto di equilibrio, che non risolve strutturalmente tutte le criticità del settore, ma garantisce una base di stabilità nel breve periodo. Cil consente agli allevatori di programmare l’attività e all’industria di trasformazione di operare con maggiore certezza.

Certo, molto dipenderà anche dall’andamento dei mercati internazionali, dai costi energetici e dalla domanda di prodotti lattiero – caseari, sia in Italia sia all’estero. Non si tratta dunque solo di un accordo sul prezzo, ma di una visione più ampia di politica agroalimentare, che punta a rafforzare la competitività del settore nel medio-lungo periodo.