di
Mario Platero

Il gruppo jazz ha cancellato l’esibizione prevista al Kennedy Center, adesso intitolato anche a Trump

Luci spente a Washington per il Capodanno: i Cookers, un celebre ensemble di musicisti jazz che avrebbe dovuto festeggiare come tradizione questa sera l’arrivo del nuovo anno al leggendario Kennedy Center «nel fuoco del Soul» come recitavano le locandine pubblicitarie, ha cancellato tutto appena due giorni fa. La ragione, politica, per contestare il passaggio fin troppo evidente in America dal culto dell’istituzione al culto della personalità: da una settimana il Kennedy Center si chiama Trump-Kennedy Center per decisione del consiglio di amministrazione formato da amici di Donald Trump e guidato, per sua auto-nomina a “Chairman” del centro, dallo stesso presidente americano. 

Questa decisione in nome appunto del culto della personalità trumpiana, ha ovviamente scosso l’America. Prima dei Cookers, Chuck Reed, che da 20 anni suonava col suo gruppo per lo spettacolo per la notte di Natale aveva cancellato la sua apparizione, sempre due giorni fa la Doug Varone and Dancers” annunciava d aver cancellato i due spettacoli in aprile che avrebbero celebrato i 40 anni del gruppo. 



















































Varone ha anticipato che il gruppo perderà 40.000 dollari per questo gesto aggiungendo: «È devastante finanziariamente ma esilarante moralmente». Vari altri artisti hanno fatto lo stesso e davanti alla Protesta, il direttore generale del teatro, Richard Grenell ha subito risposto che si tratta di attivisti di sinistra prenotati dalla leadership precedente e che «boicottare uno spettacolo per mostrare il tuo appoggio all’arte e una forma di Sindrome da follia». 

Ha anche minacciato cause in tribunale contro gli artisti per danni da milioni di dollari. Fra le proteste anche quelle della famiglia Kennedy, con Caroline, la figlia del presidente ucciso ( colpita ieri da un gravissimo lutto, la perdita della figlia Tatiana) decisa a ritirare ogni immagine del padre o della sua presidenza dal teatro.
   
Questa decisione di cambiare il nome è considerata da molti illegale in quanto manca l’autorizzazione del Congresso che, nel 1964 votò all’unanimità per chiamare il nuovo teatro, voluto dal presidente Eisenhower, un repubblicano, col nome del presidente ucciso a Dallas nel 1963. Il nome formale ancora scolpito sul marmo della grande struttura è “The John F. Kennedy Memorial Center for the Performing Arts”. Un vero e proprio memoriale dunque – come il Jefferson Memorial o il Lincoln Memorial, dedicato a un uomo che al momento dell’assassinio era diventato il simbolo di una nazione in lutto. 

Il fatto che Trump abbia voluto il suo nome persino davanti a quello del presidente ucciso ha fatto alzare non poche sopracciglia. Ora il centro si chiama The Donald J Trump and (sotto) John F. Kennedy Memorial Center For the Performing Arts. La deputata Joyce Beatty, che siede nel consiglio del centro artistico, ha denunciato l’azione in tribunale, ricordando che ci vuole un atto del Congresso che non prevedeva a suo tempo che il nome fosse cambiato e chiedendo che l’aggiunta sia rimossa. Non solo, ha raccontato che al momento del voto in un consiglio di amministrazione del Centro raccolto a Mar-a-Lago e non a Washington (di cui fa parte come rappresentante istituzionale) il suo collegamento telefonico è stato interrotto al momento delle dichiarazioni di voto impedendole di parlare e di votare. Il Consiglio ha poi detto che si era trattato di un voto “all’unanimità”.

Fin qui le notizie. Ma la decisione sul nome del Kennedy Center è la nota più acuta di un trend che in questo 2025 in via di archiviazione ha cambiato un principio intoccabile nella storia e nella tradizione americana, la supremazia assoluta della nazione sul culto della personalità. I riconoscimenti per presidenti avvengono sempre “dopo” l’uscita dalla scena politica e sempre, per avere valenza istituzionale, con passaggi formali e in genere bipartisan del Congresso. Nel caso del Kennedy Center, era dal 1955 che si dibatteva sulla necessità di dotare la Capitale di un teatro adeguato. Allora fu il presidente Eisenhower a proporre e a firmare l’iniziativa poi presentata al Congresso nel 1958. Si sarebbe forse chiamato Eisenhower? No ovviamente, nella tradizione del buon gusto e di quel understatement che risale ai Padri Pellegrini, il nome suggerito era semplicemente the National Cultural Center. Il centro doveva essere finanziato privatamente e autonomo rispetto alla politica che avrebbe contribuito con poche spese di capitale. 

Quando nel 1962 Kennedy divenne presidente decise di andare avanti fino in fondo con il progetto che si era arenato. Nominò sua moglie Jackie e la moglie di Eisenhower co-presidenti di un comitato per la mobilitazione di fondi che riuscì a raccogliere 30 milioni di dollari, di nuovo in completo spirito bipartisan. Poi Kennedy nominò Roger Stevens, un rispettato produttore di Broadway alla guida del teatro per sovrintendere ai lavori di costruzione e di avviamento del progetto. Stevens rimase poi in carica per 40 anni, di nuovo in spirito bipartisan e seguì il teatro dall’inaugurazione del 1971 fino alla sua uscita per anzianità.

Colpisce soprattutto che questo passaggio di tradizione avvenga nell’anno, il 2026 in questo caso, in cui l’America celebra i 250 anni della sua Indipendenza, anche perché la storia del nome Trump sul Kennedy Center non è un caso isolato. Lo scorso ottobre il Dipartimento al Tesoro ha annunciato che stava considerando l’emissione di una moneta commemorativa da un dollaro per i 250 anni con l’immagine di Donald Trump. Il problema, secondario, la legge federale impedisce che si stampi l’immagine di una persona in vita sulla valuta americana. Sempre su questa strada, il 3 dicembre scorso il dipartimento di Stato ha mostrato una foto in cui l’Institute of Peace, istituzione sacra nel dipartimento, aveva poco sopra in lettere d’argento Donald J. Trump Institute of Peace. Il 22 dicembre scorso lo stesso Trump ha annunciato la costruzione di due nuove navi da guerra che si chiameranno “Trump Class” le prime di una nuova flotta navale americana. E cosi via, con una proposta di cambiare l’attuale Metropolitan Area Transit Authority per le stazioni di treni e metropolitane in Washington Metropolitan Authority for Greater Access (WMAGA!) con la Metro Rail che si chiamerà “Trump Train”. C’e’ poi il progetto di mettere l’effige di Trump al posto di quella di Benjamin Franklin sul biglietto da 100 dollari o di rinominare il Dulles Airport a Washington Trump Airport, fino all’idea di aggiungere la scultura del volto di Trump su Mount Rushmore e varie altre idee curiose, ma significative dei tempi.

È in questi piccoli segnali che si deducono spesso passaggi storici per una Nazione. Possibile che l’America che abbiamo conosciuto, al di là della cronaca, stia per cambiare del tutto la sua pelle? Tutto è possibile certo, ma per noi, che abbiamo visto i risultati del culto della personalità, non è auspicabile. L’unica riflessione rassicurante è che l’America sia più grande di Trump. Alcuni cominciano a dubitarne, ma parlerà il tempo.


Vai a tutte le notizie di Roma

Iscriviti alla newsletter di Corriere Roma

31 dicembre 2025