Regime fiscale, accise e tassazione. È diventato realtà l’atteso decreto interministeriale (Mef e Masaf) che definisce nei dettagli le norme per la produzione di vini dealcolati in Italia. Un via libera accolto con estremo favore da tanti viticoltori veneti e friulani, pronti a scommettere nel nuovo business.

Il segmento dei vini alcol zero, infatti, non è più una nicchia, almeno non all’estero. Secondo le più recenti rilevazioni dell’Unione italiana vini (Uiv) il comparto è uno dei pochi in crescita all’interno della galassia vino.

Nel circuito retail i no alcol sono cresciuti del 46% in Germania, del 20% in Inghilterra e del 18% negli Stati Uniti, con un fatturato globale che ha raggiunto 2,4 miliardi di euro e punta a crescere dell’8% annuo, così da toccare quota 3,3 miliardi entro il 2028.

«Questo decreto rappresenta un passaggio importante – osserva Giancarlo Moretti Polegato, presidente del gruppo Villa Sandi, uno dei player più importanti del Prosecco – . Riconosce un’evoluzione del mercato che, come produttori, viviamo già da tempo. Finalmente l’Italia colma un gap normativo che finora ci aveva tenuti indietro rispetto ad altri Paesi europei, dove da anni la produzione dei vini dealcolati è regolamentata. Villa Sandi è impegnata in questo settore già da 4 anni, con lo sviluppo di un prodotto zero alcol che cresce a doppia cifra ogni anno. Si tratta di un mercato dalle grandi potenzialità, che non entra in concorrenza con le nostre bollicine tradizionali, ma amplia le possibilità di un produttore che può rispondere alle nuove esigenze dei consumatori. La nuova normativa ci permetterà di continuare a innovare e a rispondere alle richieste, senza mai rinunciare a qualità e tradizione».

«Finalmente una bella notizia a chiudere un 2025 complesso e un 2026 con tanti dubbi per noi produttori – dice Filippo Polegato, amministratore delegato del brand Astoria e vice presidente dell’Unione Italiana vini – . Con l’Unione lavoriamo da tempo per mettere le aziende italiane nelle condizioni di aggredire un mercato potenzialmente molto interessante, e soprattutto di competere ad armi pari con la concorrenza straniera: gli Stati Uniti e i paesi nordici dell’Ue, dove la tendenza no-alcol è già particolarmente diffusa, saranno il primo banco di prova importante per i nostri vini dealcolati, ma anche in Italia vedremo una crescita significativa ora che arriveranno più proposte sul mercato: la nostra bevanda alcol free, lanciata nel 2013, negli ultimi anni è cresciuta in doppia cifra, a dimostrare quanto questa tendenza in atto tra i consumatori non sia semplicemente una moda passeggera, ma un cambiamento strutturale nelle abitudini».

«Le aziende italiane avranno le stesse opportunità di produttori francesi o tedeschi – osserva Roberto Castagner, mastro distillatore e Ad dell’omonima distilleria – . Il mondo dei dealcolati è destinato a creare una fetta di mercato interessante, anche se è presto per fare stime sui numeri. Abbiamo l’esperienza positiva della birra analcolica che oggi rappresenta circa il 5% del mercato totale e cresce continuamente. Dal punto di vista pratico però non mancano le difficoltà, legate non solo all’acquisto dei macchinari adatti, ma alla gestione dell’alcol estratto da questi processi: il decreto infatti non ha previsto semplificazioni per le aziende vinicole nella gestione di piccole quantità di alcol, devono quindi rispettare le stesse procedure delle distillerie (compresa l’accisa sugli alcolici, che non è prevista per il vino). Questa complessità farà si che, almeno in un primo tempo, solo i grandi produttori si doteranno di un sistema per dealcolare, mentre si creeranno società di servizi o consorzi per unire le forze».

«È importante che sia arrivata la conferma per poter dealcolare anche in Italia – commenta Anna Spinato, titolare dell’omonima azienda di Ponte di Piave – , potremo essere davvero competitivi. Finora in Italia eravamo privi delle linee guida, al massimo si potevano fare solo dei test, ma non produrre dealcolati e metterli in commercio. Si poteva portare il vino da dealcolare in Spagna e in Germania, Paesi dove la normativa è già in vigore, poi si rientrava in Italia dove veniva imbottigliato. Ma è un processo che comporta spese elevate di trasporto e tanti ci rinunciavano. Adesso invece avremo un vantaggio, i costi saranno contenuti. Abbiamo richieste di importatori esteri per acquistare vini totalmente o parzialmente dealcolati, che hanno al massimo 5 gradi. Usa, Norvegia e altri Paesi del Nord Europa sono più aperti a bianchi e rossi zero alcol».

In Friuli Venezia Giulia, a San Vito al Tagliamento, Lea Winery della famiglia Spadotto è pioniere dei dealcolati, con due spumanti che vengono imbottigliati dal 2022. Ma ci sono anche altre cantine e cooperative di pianura pronte a cavalcare l’onda di quello che sembra un vero affare.