Russia e Stati Uniti possiedono ciascuno oltre 7.000 testate nucleari, di cui circa 1.550 operative. La Francia ne ha 290, il Regno Unito 220. Gli altri Paesi europei dipendono dallo scudo americano. Ma è uno scudo incrinato: Trump ha messo in discussione la copertura automatica, e la Nato non ha una dottrina nucleare condivisa. La disparità non si misura solo attraverso i numeri, ma anche nei mezzi e nella volontà. La “force de frappe” francese dispone di 40 caccia Rafale, armati con 54 missili da crociera nucleari, e altri 10 imbarcati sulla Charles de Gaulle. In mare la Fost, Forza oceanica strategica francese, schiera 4 sottomarini lanciamissili Snle con missili M51 intercontinentali da 10.000 km, ciascuno armato con 16 missili e 6 testate. Il Regno Unito ne ha altrettanti, con missili Trident. Una potenza teorica, che però impallidisce di fronte alla minaccia più insidiosa: l’arma tattica. Mosca ha 2.000 mini-testate nucleari pronte all’uso. Le si potrebbe definire volgarmente “bombette atomiche”.
La dottrina nucleare, come funziona?
L’Occidente, in Europa, ne ha un centinaio. La Russia potrebbe usarne una su un obiettivo circoscritto: un ponte, una base militare, una nave nel Mar Nero. Non per vincere la guerra, ma per piegare l’avversario con uno choc psicologico globale. È la dottrina «dell’escalate to de-escalate»: accendere per spegnere, alzare la soglia dello scontro per forzare un compromesso. Il presidente Biden aveva evocato per la prima volta «l’Armageddon» nel caso Putin avesse rotto il tabù. Un messaggio allarmante, ma anche un segnale: la deterrenza non basta più. Il punto debole sono le armi «piccole». Spiega William J. Broad, editorialista scientifico del New York Times, che una testata tattica può «stare nel palmo di una mano» e avere però una potenza distruttiva superiore a qualunque ordigno convenzionale. «I russi ne hanno migliaia, noi in Europa un centinaio. Perché? Per paura che queste armi finissero ai terroristi». A Bruxelles, il quartier generale della Nato lavora da tempo a scenari dettagliati. Una risposta convenzionale all’uso di una bomba nucleare, sia pure tattica, rischia di essere inadeguata. Una risposta atomica aprirebbe all’escalation strategica. La linea rossa è politica. Emmanuel Macron è stato finora il più assertivo tra gli europei. Ma la Francia non intende condividere i codici della sua valigetta nucleare. L’Arma resta nazionale. Così come il comando operativo dei Rafale, anche se venissero impiegati in Germania o Polonia. Il piano Usa di sostituire i caccia a stelle e strisce con velivoli francesi, mantenendo la dislocazione nucleare in Europa, genera diffidenza. Perché manca una regia comune, e ogni arsenale resta blindato nel proprio perimetro.
Qual è la strategia?
Intanto, l’intelligence ucraina ha sferrato un colpo alla deterrenza sottomarina russa, trafugando documenti riservati sul Knyaz Pozharsky, il più sofisticato sottomarino balistico nucleare di Mosca, in servizio dal 24 luglio. I file includono schemi interni, procedure d’emergenza, dati dell’equipaggio e dei sistemi di bordo. Il battello, armato con missili Bulava a testate multiple, è un vero pilastro della flotta strategica del Nord. L’ex presidente russo Medvedev ha evocato più volte l’uso dell’arma atomica, Trump ha risposto spostando due sottomarini nucleari americani «in regioni più vicine alla Russia». Ma Andrea Margelletti, presidente del Cesi, parla di “operazione cosmetica”: «Avvicinarsi alle coste russe non ha senso. Se posso colpire da casa mia, perché spostarmi dove rischio di essere scoperto?». Per Stefano Stefanini, ex ambasciatore alla Nato, «non c’è oggi un rischio nucleare più alto di un mese fa. Ma lo sgretolamento della rete di controllo degli armamenti è reale». Mentre in Europa si discute, la Russia si prepara. Il Cremlino varerà entro il 2030 altri 6 sottomarini classe Borei-A. E a ogni passo dell’Ucraina sul campo corrisponde un nuovo segnale minaccioso da Mosca. L’ultimo è di ieri, con l’uscita della Russia dalla moratoria autoimposta sul dispiegamento di missili a medio e corto raggio.
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