Pubblichiamo di seguito il contributo dello storico e critico d’arte Vincenzo Trione.
Oggi, per ricostruire una critica significativa, occorre guardare fuori dall’arte. È paradossale che in ambiti come il cinema o la letteratura sia ancora richiesta una competenza specifica, mentre nel mondo dell’arte chiunque si senta legittimato a scrivere. Questo non è un fenomeno isolato, ma il risultato di vent’anni di degrado culturale. Si è spezzato quel legame fondamentale tra storia dell’arte e critica, un nesso che studiosi come Francesco Arcangeli, Lionello Venturi e Giulio Carlo Argan consideravano indissolubile.
L’articolo continua più sotto
Sullo stato della critica d’arte in Italia
Oggi ci troviamo in una situazione di confusione imbarazzante, in cui qualcuno si vanta addirittura di non avere conoscenze storico-artistiche, preferendo aderire passivamente alle tendenze del momento, con una visione quasi ‘pellicolare’. La critica si è ridotta a poco più di un comunicato stampa. Achille Bonito Oliva sosteneva che, mentre la curatela si occupa della ‘manutenzione del presente’, il critico è colui che interroga e va alle radici. Tuttavia, oggi assistiamo a una netta separazione tra chi insegna storia dell’arte e chi si occupa di curatela, senza che vi sia un vero dialogo tra le due professioni. Germano Celant fu tra i pochi a percepire questa deriva con lucidità e dedicò gli ultimi anni della sua vita a ricucire il legame tra storia dell’arte e critica. La figura del curatore, così come si è evoluta in Italia, è il compimento di questa deriva.
La deriva della critica d’arte in Italia
A differenza di quanto accade in Francia, dove esistono ruoli ben distinti come il conservatore o lo storico dell’arte, in Italia il curatore è diventato una figura indefinita: un po’ producer, un po’ architetto, un po’ allestitore, ma senza assumere una vera identità. La prova più evidente di questo impoverimento è che nessun curatore oggi scrive libri: ci si limita a testi brevi, semplificati all’estremo o, al contrario, inutilmente ostici.
La Biennale d’Arte del 1993 con Achille Bonito Oliva: l’ultimo momento della critica
L’ultimo momento di grande rilevanza della critica in Italia fu la Biennale d’Arte del 1993, curata da Achille Bonito Oliva: un evento visionario, accompagnato dalla pubblicazione di due grandi volumi che raccoglievano il meglio del pensiero critico dell’epoca, coinvolgendo filosofi e intellettuali a interrogarsi sull’arte del tempo. Dopo quel periodo, la critica ha iniziato un lento declino, complice un sistema che ha smesso di considerarla centrale. E gli epigoni di Oliva e Harald Szeemann hanno contribuito, forse inconsapevolmente, a questo impoverimento. Già Umberto Eco si era accorto che la critica d’arte si era ridotta a un esercizio di stile, riprendendo concetti e riflessioni provenienti da altri saperi, in particolare dalla filosofia e dall’antropologia. In questo gioco perverso, la critica ha perso il proprio oggetto, fino ad arrivare a una resa clamorosa, come la pubblicazione di cataloghi in cui il testo critico viene sostituito da interviste, segno di una rinuncia definitiva al suo ruolo interpretativo.
A cura di Caterina Angelucci
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati