di
Guido Olimpio

L’ipotesi di divisioni tra leader nella Striscia e diaspora. Per gli islamisti dentro Gaza i rapiti sono sia «merce» di scambio che «scudi»

Evyatar David scava la sua tomba in uno dei tunnel di Gaza. Rom Braslavsky giace infermo su un materasso. Due video truci di ostaggi diffusi da Hamas e Jihad islamica interpretati da alcuni come un autogol e da altri, invece, come mosse di un conflitto dove ormai tutti hanno superato le linee rosse.

Ampliare il messaggio

I dirigenti dell’interno, quelli che agiscono sul campo, assediati e braccati, possono aver deciso che le clip dei prigionieri siano un modo per mettere pressione all’avversario. Utili alla causa in una fase negoziale sempre complessa e «bilanciati» dalle immagini quotidiane degli affamati nella Striscia, dai racconti di disperazione e di morte. I movimenti estremisti — ma anche organizzazioni criminose come i narcos — tendono ad ampliare il messaggio, a diversificarlo, a renderlo più duro o meglio strutturato. Per creare angoscia, umiliare, dimostrare di essere in controllo nonostante la pressione dell’avversario. Ricordiamoci delle coreografie dei primi rilasci, con miliziani in divisa, certificati, timbri, consegna alla Croce Rossa, tavolini, telecamere, luoghi simbolici. Eventi ben studiati destinati soprattutto alla platea esterna. 



















































Le sofferenze di Evyatar e Rom hanno provocato sgomento in quella parte della comunità israeliana convinta che si debba arrivare a una soluzione del dramma degli ostaggi. E i filmati servono allora a spaccare ancora di più l’opinione pubblica, vogliono che la «piazza» aumenti il volume della protesta contro il governo. A maggior ragione in un momento contrassegnato da due aspetti. Il primo è legato alla stretta attualità, con il documento critico di ex alti dirigenti della Difesa e della sicurezza, una denuncia clamorosa della strategia adottata da Netanyahu. Il secondo riguarda il «domani», quando il premier metterà in atto le prossime iniziative nella Striscia dopo un vertice con lo Stato maggiore. I video «entrano» nelle case dei cittadini, rialzano il valore di persone in catene che la politica ha trattato in modo cinico, ridanno forza al ricatto, sono come incursioni dietro le linee. 

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C’è sempre da tener conto delle dinamiche dello schieramento palestinese. Per gli osservatori Hamas punta sul fattore tempo, ritiene di aver da guadagnare logorando il più possibile lo Stato ebraico. Non può certo opporsi alla macchina bellica dell’Idf, però cerca di ottenere il massimo risultato: le promesse di riconoscimento dello Stato da parte della comunità internazionale attenuano — solo in parte — le perdite sul terreno, l’uccisione di quadri e nuove reclute, la decimazione dei leader. Tornano spesso le tesi di divisioni tra i vertici della guerriglia a Gaza e la dirigenza della diaspora, ricostruzioni che però sono una costante fin dagli anni ’90.

Chi tratta in Qatar o in Turchia ha accettato certe regole perché agisce in condizioni normali e ha contatti diretti. Chi è interrato nelle gallerie di Gaza utilizza gli ostaggi che, oltre a essere la merce del bazar, rappresentano lo scudo e la riaffermazione di potere.

5 agosto 2025 ( modifica il 5 agosto 2025 | 11:59)