Quando legge san Paolo, Agostino di Ippona ha un sussulto, perché si accorge che quelle pagine rappresentano uno dei passaggi-chiave del suo cammino di redenzione: «Mi buttai dunque con la massima avidità sulla venerabile scrittura del tuo spirito, e prima di tutti sull’apostolo Paolo». Paolo è dunque l’ultima stazione di un percorso che lo porta dall’Africa a Milano, alla conoscenza di sant’Ambrogio e, siamo nel 386 della nostra era, alla definitiva conversione. Le Confessioni, scritte probabilmente tra il 397 e il 398, sono il geniale diario di questo cammino.

“Le Confessioni”: un libro di abissale attualità

Opera di grande fascino perché non dotta esposizione di teorie, ma cruda trascrizione di un umano percorso. Con la sincera ammissione che quell’antico percorso non partiva dalle brutture e dalla coscienza del male, ma dal fascino di una bellezza contaminata e fine a se stessa. Una autocoscienza talmente profonda da essere in grado di parlare anche al nostro oggi e di farci prendere coscienza della moderna adorazione di nuovi e vecchi idoli fatti di carne e immagine, falsi ideali e solitudine mascherata da consenso massificato.

Non una parola delle Confessioni appare datata, e questo permette loro di attraversare i secoli fino ai nostri tragici giorni, passando per un Petrarca che nove secoli dopo se ne farà guida nel suo Secretum. La guida di san Paolo è una presenza costante in questo capolavoro senza tempo, come quando una voce fanciullesca all’improvviso gli impone di leggere, e lui coglie l’attimo nella lettura della Lettera ai Romani che invita all’abbandono della lussuria, delle “crapule”, degli “amplessi”, delle “contese” e “invidie”.

Non solo cosciente allontanamento dai fantasmi del piacere fine a se stesso, ma anche da un altro tipo di libido, quella unicamente intellettuale che nella sua stagione manichea lo aveva portato a una religione che mascherava la volontà di dominare culturalmente. Una nuova coscienza non di un trono impermanente da cui sovrastare gli altri, ma di essere divenuto un pellegrino alla ricerca del vero senso di tutte le cose. Anche attraverso lontani ricordi.

La memoria

E la memoria è un altro motivo dominante, e modernissimo, perché essa, e si colga la geniale anticipazione del linguaggio, dispone di una potenza troppo grande, schiacciante, divenendo «un santuario vasto, infinito» perché può essere affrontata solo con l’aiuto divino. Dio non è più il centro di uno studio intellettuale, ma il fine di una ricerca inesausta fino a «quando mi sarò unito a te con tutto me stesso (e) non esisterà per me dolore e pena», scrive Agostino citando il Salmo 9.

La persistenza oltre i tempi delle mode e degli ismi delle Confessioni è documentata anche dal celebre episodio del furto delle pere: il giovane narratore e i suoi amici entrano in un campo, scuotono un albero, ne fanno cadere i frutti non perché avessero fame, ma per gettarli ai porci. Non opera benefica verso gli animali, ma solo il gusto di trasgredire: il che ci porta alle desolanti pagine di cronaca in cui si legge di atti violenti fini a se stessi e senza giustificazione.

Un’opera che parla a tutti

Un’opera che parla a tutti, grandi e piccoli, uomini comuni e scrittori. Fin dal titolo è stata punto di riferimento del romanzo di una scrittrice come Ethel Mannin, lontana dalla Chiesa ufficiale e vicina agli ambienti pacifisti e anarchici del Novecento. Il che dimostra come le Confessioni siano un messaggio che entra nel profondo del nostro essere, soprattutto quando ci sentiamo soli e senza un punto di riferimento. 

*Un libro di abissale attualità è stato pubblicato nel n.3 di Segno nel mondo, in distribuzione con Avvenire