Non è chiaro quali saranno le possibili accuse e chi verrà incriminato, ma la mossa di Bondi fa seguito alle dichiarazioni di Tulsi Gabbard, direttrice dell’intelligence nazionale, che lo scorso mese ha pubblicato documenti allo scopo di mettere in dubbio la legittimità dell’inchiesta che stabilì che la Russia aveva interferito a favore di Trump nelle elezioni del 2016. 

Gabbard ha accusato Obama di alto tradimento e ha accusato anche l’ex direttore della Cia John Brennan e l’ex capo dell’Fbi James Comey. Il procuratore — di cui non è stato reso noto il nome — è chiamato a presentare eventuali prove ad una giuria di cittadini che dovrà valutare se ci sono gli elementi per l’incriminazione. Trump ha commentato sui social: «La VERITÀ vince sempre. Questa è una grande notizia». L’iniziale indagine sulle interferenze russe fu affidata al procuratore speciale Robert Mueller e portò alla condanna di diversi alleati di Trump ma non stabilì prove di una cospirazione criminale tra Mosca e la sua campagna elettorale.

 Il presidente ha espresso più volte rabbia per quella che ha definito una «caccia alle streghe» e di recente ha pubblicato un video creato con l’Intelligenza artificiale che vede Obama in manette. La mossa di Bondi alimenta i timori per l’uso del dipartimento della Giustizia per vendette politiche. Rapporti dell’intelligence e commissioni del Congresso hanno studiato il tentativo della Russia di interferire nelle elezioni del 2016 a vantaggio di Trump in vari modi, inclusi la rivelazione di email del partito democratico e disinformazione sui social per dividere l’opinione pubblica americana. 

Ma nelle ultime settimane Gabbard ha sostenuto che l’amministrazione Obama avrebbe falsamente cercato di legare Trump alla Russia. Pubblicando una serie di email, la direttrice dell’intelligence nazionale, ha mostrato che l’amministrazione Obama sapeva che i russi non avevano hackerato le macchine elettorali per alterare i voti a favore di Trump. Ma un portavoce di Obama ha replicato che l’ex presidente non ha mai sostenuto che i russi fossero riusciti a manipolare i voti, ma piuttosto che siano state messe in atto altre forme di interferenza. Il portavoce ha bollato la vicenda come una «distrazione», mentre infuriano le polemiche sul caso Epstein. 

La scorsa settimana il repubblicano Chuck Grassley, capo della Commissione Giustizia del Senato, ha pubblicato una serie di email che secondo il direttore dell’Fbi Kash Patel proverebbero che «la campagna di Clinton complottò per incastrare il presidente Trump e fabbricare la truffa della collusione con la Russia». Le email facevano parte di un documento classificato contenuto in un rapporto di John Durham, procuratore speciale nominato nel primo mandato di Trump. Durham identificò errori significativi dell’Fbi, ma non trovò prove per negare l’esistenza di interferenze elettorali russe. 
La sua inchiesta produsse tre casi giudiziari: due prosciolti da una giuria, il terzo si concluse con l’ammissione di colpevolezza di un avvocato dell’Fbi per falsa testimonianza. I repubblicani hanno puntato su una mail in particolare, secondo cui Hillary Clinton avrebbe approvato un piano per legare Trump alla Russia. Ma il presunto autore (un alto funzionario presso un’organizzazione filantropica fondata dal miliardario George Soros) e la destinataria dissero a Durham di non aver mai visto quel messaggio. Lo stesso rapporto di Durham osserva che le indagini non avevano potuto confermarne l’autenticità e che poteva trattarsi di «un miscuglio di diverse email» ottenute da hacker russi, il che fa pensare che possa essere stato alterato dai servizi di Mosca a scopi di disinformazione.