di
Maurizio Giannattasio
All’appuntamento elettorale mancano due anni. Il primo cittadino prosegue con tenacia: «Ci ho pensato mille volte, ma come faccio a lasciare una città che ha bisogno dell’aiuto di tutti?»
Il discorso con «Io ci sono e ho le mani pulite» era già pronto. Ha scartato quello in cui faceva un passo indietro e gli ha aggiunto solo un passaggio. Inessenziale dal punto di vista politico, importante dal punto di vista umano: il warning (si può scrivere dopo le chat pubblicate sui giornali?) al consigliere di Fratelli d’Italia, Enrico Marcora che sulle sue pagine social aveva pubblicato la foto ormai diventata virale del sindaco di Milano Beppe Sala con i calzini arcobaleno, aggiungendoci anche una tuta da galeotto, frutto dell’Intelligenza artificiale. Carriera finita come ha buttato lì il sindaco dopo aver parlato con Giorgia Meloni e Ignazio La Russa? Pareri discordanti. Se Meloni sembra aver preso appunti, il presidente del Senato, sembra esser stato più tranchant. Il verdetto finale non c’è ancora. E difficilmente ci sarà.
Per il resto, Beppe Sala ha trascorso una delle giornate più giornalisticamente noiose della sua vita politica. Ufficio alle 8.20. Pranzo a base di pizza con i suoi più stretti collaboratori, Christian Malangone, Stefano Gallizzi e Marco Pogliani e poi in Cattolica per assistere alla discussione della tesi di laurea della figlia della sua compagna Chiara Bazoli: 110 e lode. Adesso il problema è riempire le altre cinquanta righe. Perché il sindaco in realtà aveva già fatto tutto quello che doveva fare nei giorni precedenti. Sentito Elly Schlein, ascoltato e dettato le condizioni vicendevoli al suo partito di maggioranza. Parlato con mezzo mondo terracqueo. Ricevuto attestazioni di stima persino da chi non lo ha votato. Anche sullo stadio di San Siro, vero ostacolo sulla trattativa con il partito di maggioranza, si è trovato una quadra. Tutto rimandato a settembre, i tempi ci sono. Gli imprevisti anche. Vedremo.
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Quello che preme a Sala è difendere la sua integrità. Ha premesso di non voler «dare giudizi sull’operato della magistratura» ma poi, ricordando di aver saputo dell’indagine su di lui dal Corriere, si è rivolto a tutti i «colleghi politici» con una domanda: «Sta bene a chi governa o ambisce a governare una città o un Paese che indagini riservate diventino pubbliche? Ricordo a chi approfitta, politicamente, di situazioni come quella che la mia amministrazione sta vivendo: oggi a me, domani a te». A ferirlo, la grande distanza tra le note riportate e i fatti oggettivi. Come dire: non mi riconosco in quelle che sono le notizie riportate dai giornali. Ma non è tempo di polemiche con la magistratura. Anzi.
Le dimissioni, quelle contenute nel secondo discorso preparato alla vigilia, sono presenti anche oggi. «Ho pensato seriamente a non andare avanti a causa di una inchiesta che è fonte di grandissima sofferenza ma ora sono più che mai motivato a fare il mio dovere e a proseguire nell’incarico che i milanesi mi hanno democraticamente affidato». La ferita resta. Nei giorni scorsi a chi gli chiedeva se avrebbe fatto un passo indietro, ha confessato: «Ci ho pensato mille volte, ma come faccio a lasciare una città che ha bisogno dell’aiuto di tutti?». La risposta è arrivata ieri, chiara e netta. Sala continuerà a stare in sella.
Ora però si apre un altro capitolo. Nella discussione dei giorni scorsi con il Partito democratico si sono messi sul tavolo tutti i dossier del futuro prossimo di Milano. Quelli essenziali per poter continuare ad amministrare da qui al 2027 senza dover ogni volta affrontare Scilla e Cariddi per poterli portare a casa. Ma anche quelli messi sul piatto dai cittadini. E qui la discontinuità potrebbe rappresentare un importante viatico per arrivare a fine mandato. L’ascolto della città che in tante occasioni è mancato. «Noi, e nessun altro, abbiamo il dovere di mantenere gli impegni presi con le elettrici e gli elettori», ha dichiarato nel cuore della seduta segnata dalle polemiche sull’inchiesta urbanistica.
Il sindaco ha rivendicato la rotta dell’amministrazione: «L’obiettivo è tenere insieme sviluppo e aiuto a chi è in difficoltà». Un’ammissione anche sui limiti dell’azione di governo: «Non tutto quello che abbiamo tentato è perfezione ma abbiamo mantenuto la traiettoria». L’uomo però è testardo. Lo ha ribadito in più di un’occasione: quando si prende un impegno vuole arrivare fino in fondo. Lo ha fatto con Expo, quando la bufera giudiziaria aveva travolto dei suoi dipendenti, lo fa ora dove viene tirato personalmente in ballo. «Oggi sono più che mai motivato a fare il mio dovere fino in fondo, a proseguire con l’incarico che i milanesi ci hanno affidato». Con la consapevolezza che la strada è in salita, fosse solo perché il sindaco non è ancora a conoscenza di ciò che gli viene contestato. Difficile governare con il continuo stillicidio di carte che escono ogni giorno.
All’appuntamento elettorale mancano ancora due anni. La campagna elettorale era già partita prima delle ultime puntate della Procura e tutto fa pensare che sarà una campagna permanente, con l’opposizione di centrodestra all’attacco continuo e con la maggioranza, spesso priva di qualche consigliere contrario alla deriva sull’urbanistica, costretta a fare muro. L’«Io ci sono» di Beppe Sala non è permanente. Tutto dipenderà dalla tenuta della sua maggioranza.
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22 luglio 2025 ( modifica il 22 luglio 2025 | 10:11)
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