di
Andrea Nicastro
L’opposizione guadagnava consensi, i suoi processi per corruzione e la guerra a Gaza lo affondavano nei sondaggi, le elezioni anticipate si avvicinavano: tutto finito con la Guerra dei 12 giorni contro il nucleare iraniano
DAL NOSTRO INVIATO
TEL AVIV – Quando Bibi Netanyahu diventava premier di Israele per la prima volta (1996), Giorgia Meloni era una militante del Fronte della Gioventù alla Garbatella mentre Donald Trump gestiva il concorso di Miss Universo. Come Vladimir Putin e Ali Khamenei, Bibi ha tutta l’esperienza per resistere a critiche, inchieste e accuse che gli piovono addosso da tutte le parti. Sa come funziona la macchina del consenso. Dal suo primo mantra «non ti muovere, non cadere», Netanyahu si è evoluto. Ha aggiunto al repertorio di sopravvivente svariate tecniche.
La gestione dei social media è una. Si fa aiutare dagli amici del figlio, ma la vera capacità di indirizzare la narrazione arriva dai milioni di investitori amici. È maestro nello spostare l’attenzione. Quando tutto congiura contro di lui, si inventa una distrazione di massa. L’ultimo esempio è la guerra con l’Iran. L’opposizione guadagnava consensi, i suoi processi per corruzione e la guerra a Gaza lo affondavano nei sondaggi, le elezioni anticipate si avvicinavano. Tutto finito con la Guerra dei 12 giorni contro il nucleare iraniano. Di processi ed elezioni se ne riparlerà eventualmente a ottobre. Intanto resta in sella.
La lezione più grande l’ha tratta dalla prima presidenza Trump. Contestata per le fake news raccontate da The Donald, l’ineffabile consigliera Kellyanne Conway se ne uscì con la storica spiegazione: «Non erano falsità, ma fatti alternativi». L’insistenza di Netanyahu a negare la carestia a Gaza deve molto a quella geniale intuizione. Possono esserci centinaia di testimonianze, ma se anche uno solo dice il contrario il pubblico finirà per dubitare. E se non convinci tutti, non importa, basta dare a chi crede in te una ragione per pensare che sono gli altri a ingannare. D’altra parte, dice Bibi, «Islam è sottomissione, giudaismo è discussione».
La sua resistenza non dipende solo dall’abilità comunicativa, ma è il frutto di una visione. Alleanze, orgoglio e ora anche gli ostaggi in mano ad Hamas sono sacrificabili rispetto al fine. Bibi è cresciuto guardando il padre scrivere una colossale ricostruzione storica di 1.384 pagine sulla «cacciata dei giudei» da parte dei re cristianissimi di Spagna. «Mai più dobbiamo essere deboli». Per riuscirci Netanyahu, passo dopo passo, sta costruendo il grande Israele. Nel 1998 era agli esordi, ma fu abile a interpretare gli Accordi di Oslo in modo che i palestinesi si autogovernassero solo nel 13% della Cisgiordania. Fu l’ultima concessione all’idea dei due Stati. Da allora solo la politica del divide et impera.
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«È importante che Hamas sia forte» per bilanciare l’Autorità nazionale palestinese in Cisgiordania, disse nel 2012. Via libera quindi ai soldi per i fondamentalisti. Nella campagna elettorale del 2019 promise di «portare il confine di Israele al Giordano», cioè in sostanza annettere la Cisgiordania. Sei anni dopo ci sta riuscendo con l’aiuto dei coloni e l’indifferenza del mondo.
Pur di portare avanti il progetto era disposto a governare persino con un partito arabo-israeliano di ispirazione islamista. Alleanze a geometria variabile le sue, basta che al timone ci sia lui. Ora ha ministri messianici, scartati dall’esercito perché inaffidabili. Dicono cose irripetibili come ammazzare tutti i palestinesi, ma Netanyahu spiega che non è la politica del governo. La strategia di espansione, però, è la stessa.
È soprattutto grazie a Trump che Bibi sopravvive. Lo scudo americano lo difende dal Tribunale penale internazionale e da sanzioni economiche o militari. Netanyahu sa come blandirlo. L’ha paragonato a Ciro il Grande e candidato al Premio Nobel per la Pace. Solo il «paparino» del segretario della Nato Mark Rutte ha lisciato meglio la vanità del leader Usa. I grandi finanziatori ebreo-americani ovviamente aiutano. Solo uno screzio tra Bibi e The Donald quando, appena eletto, Trump voleva fare meglio di Biden. Netanyahu concesse a Trump la gloria di una tregua. Poi la ruppe e chiuse i rifornimenti a Gaza per due mesi. Ora sta per decidere l’occupazione della Striscia. Per l’intelligenza artificiale la Riviera Trump esiste già.
L’obiettivo del premier israeliano è difendersi da «vicini che ci odiano e vogliono distruggerci». Per questo si paragona a Churchill, unico capace di vedere il pericolo nazista e come il grande britannico è ossessionato dalla sconfitta elettorale dopo la vittoria militare. I media israeliani da «Mr. Sicurezza» l’hanno ribattezzato «Guerra infinita». Se l’esercito smette di combattere la sua carriera è a rischio. Attenzione, però: l’hanno dato per finito almeno dieci volte, ma è sempre lui che vince.
6 agosto 2025
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