La figura dell’infermiere di famiglia e comunità è sempre più centrale nei sistemi sanitari regionali e nel modello di cure primarie. Tuttavia, la sua diffusione è ancora disomogenea sul territorio nazionale e, per renderla realmente efficace, serve una formazione specialistica mirata. È questo il messaggio lanciato da Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione Nazionale Ordini Professioni Infermieristiche (Fnopi), durante il workshop promosso dal Ministero della Salute “L’Infermiere di famiglia per la continuità assistenziale tra i professionisti, i luoghi e il tempo delle cure”.

Un percorso scelto da sempre più giovani infermieri
infermiere famiglia e comunità


La presidente Fnopi Barbara Mangiacavalli ha sottolineato come l’interesse per questo profilo professionale stia crescendo, soprattutto tra le nuove generazioni: La figura dell’infermiere di famiglia e comunità, recepita negli atti da tutte le Regioni italiane, è scelta sempre di più dai colleghi, soprattutto dai più giovani. Grazie al lavoro capillare di Ordini provinciali e Università, questo percorso è ormai una realtà consolidata, ma serve uno scatto in avanti sulla formazione.

Secondo il Rapporto Fnopi-Sant’Anna, al 30 giugno gli infermieri iscritti all’Albo nazionale sono 461mila, con un’età media di 46,5 anni e una netta prevalenza femminile. Un quadro che fotografa una professione relativamente giovane rispetto a quella medica, ma che si avvicina a una “gobba pensionistica” che potrebbe accentuare la carenza di personale nei prossimi anni.


Lauree magistrali e specializzazione clinica

Per affrontare queste sfide, Fnopi ha avviato un lavoro congiunto con i Ministeri competenti, inserendo Cure primarie e Sanità pubblica tra le tre nuove lauree magistrali a indirizzo clinico. Ci auguriamo che questo percorso venga presto recepito dal nuovo Consiglio superiore di sanità, che si insedierà l’8 luglio. È indispensabile sviluppare competenze specifiche per un ruolo che cambia il paradigma dell’assistenza, ha dichiarato Mangiacavalli.

Il modello dell’infermiere di famiglia e comunità, infatti, si discosta dall’assistenza ospedaliera tradizionale: Non risponde più alla chiamata in ospedale, ma suona al campanello ed entra nelle case delle persone assistite: ambienti e situazioni sempre diverse, non sempre semplici. Per questo serve una formazione puntuale e di alto livello.

Un ruolo chiave per il futuro del SSN

Il Rapporto Fnopi evidenzia inoltre che, dove il servizio è attivo e strutturato, i cittadini ne comprendono la centralità e l’impatto sulla qualità dell’assistenza territoriale. Per superare la “macchia di leopardo” che caratterizza oggi la presenza di questi professionisti, secondo Fnopi è necessario diversificare i modelli organizzativi e rafforzare i percorsi formativi, partendo da una laurea triennale generalista fino a master e lauree magistrali dedicate.

Secondo Mangiacavalli, con l’infermiere di famiglia e comunità si ridisegna l’assistenza territoriale: una figura che entra nelle case, conosce i bisogni reali delle persone e contribuisce a una sanità più vicina ai cittadini. Per sostenerla, è necessaria una formazione specialistica e una programmazione che valorizzi questa professione fondamentale per il futuro del Servizio Sanitario Nazionale

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