Iperborea ha il grande merito non solo di pubblicare tanti libri recenti della letteratura nord-europea, ma anche di portare in Italia romanzi nordici di qualche tempo fa ancora inediti nel nostro Paese. È il caso di Una notte a Nuuk, opera prima del 2014 dell’autrice e attivista groenlandese Niviaq Korneliussen, già tradotta in 12 lingue, ripescata dopo il successo de La Valle dei fiori (Iperborea, 2023), che si è aggiudicato il Premio Bjørnson 2022 e il Premio del Consiglio Nordico, il più importante riconoscimento letterario scandinavo, ottenuto per la prima volta da un romanzo groenlandese.
Una notte a Nuuk (titolo originale: Homo Sapienne), tradotto anche questa volta da Francesca Turri, è un romanzo molto scorrevole e piuttosto avvincente: si tratta di un’opera introspettiva, corale e moderna che, tra hashtag, versi di canzoni che scandiscono i capitoli (da Crimson&Clover di Joan Jett and the Blackhearts fino a What a Day di Greg Laswell, passando per Home dei Foo Fighters), screenshot di messaggi e la narrazione convenzionale, alterna i punti di vista dei cinque protagonisti, giovani groenlandesi che cercano loro stessi, tra orientamento sessuale e identità di genere e nel disorientamento socio-culturale che talora si può provare in una terra post-coloniale. Sono ventenni che esteriormente potrebbero sembrare anche sereni e spensierati, nel passare da una festa a un after-party, ma, andando oltre le apparenze, ci rivelano i dubbi che innanzitutto lo sguardo altrui instilla in loro, le domande che si pongono e a cui cercano una risposta.
È un libro crudo e accattivante di crisi, cambiamento e rinascita, che invita implicitamente ad andare appunto oltre la superficie, per guardare più a fondo in sé stessi e negli altri e capire i desideri e le inquietudini che si cerca di combattere e celare, di dimenticare e annegare nei rituali del divertimento, in un rapporto occasionale o in un tradimento non premeditato. Ancora il romanzo ci mostra i protagonisti alle prese con traumi, pregiudizi e riflessioni, quando sentono di non riuscire a non rovinare tutto, si accorgono di quanto faccia male fare del male agli altri, o si rifugiano nell’alcool per trovare il coraggio di essere loro stessi, ascoltare il proprio corpo, o di non ignorare, ma cercare di guarire le proprie ferite.
Rispetto a La Valle dei fiori, in Una notte a Nuuk le capacità introspettive della scrittrice, classe 1990 e quindi qui ancora più o meno coetanea dei suoi personaggi, appaiono ancora in nuce: alcuni personaggi come quello di Fia sono maggiormente approfonditi, ma la brevità dell’opera, che appare al contempo romanzo psicologico e di formazione, non offre sempre spazio per uno sviluppo ampio e originale a tutte le storie; tuttavia la narrazione è comunque convincente e interessante, anche e soprattutto quando osserva uno stesso episodio da punti di vista diversi. Questa tecnica narrativa, infatti, contribuisce ad allargare gli orizzonti dei lettori, immergendoli in un romanzo queer che, tra scoperte della propria sessualità e quindi coming out, scava nelle pieghe del quotidiano e permette di confrontarsi non con una realtà univoca, semplificata e compatta, ma con più prospettive interiori, dolori e percorsi differenti, passando dalle delusioni all’appagamento dell’amore più sincero.
Anche se a tratti il romanzo rivela una scrittura ancora un po’ acerba e in questo caso è meno presente lo sguardo sul contesto sociale, il libro risulta appassionante, anche in virtù della sua lunghezza contenuta, che diventa uno dei pregi e di questo esordio.